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Faq – Domande frequenti su Attività stagionali

Quando un’attività è stagionale?

Sono considerati datori di lavoro stagionali tutte le aziende che osservano, nell’anno solare, un periodo di chiusura al pubblico superiore:
a) settanta giorni continuativi;
b) centoventi giorni non continuativi;
oppure:
c) per motivi contingenti, ad esempio in virtù di favorevoli condizioni di mercato, si trovino nella necessità di estendere la durata dell’attività stagionale;
d) in modo stabile, debbano svolgere una attività stagionale ma lungo un ciclo più ampio di quello tassativamente previsto dalla legge.

Ho un’attività stagionale sono soggetto alla normativa sulla sicurezza?

Il D.Lgs. 81/2008, nell’art. 3 prescrive misure per la tutela della salute e per la sicurezza dei lavoratori durante il lavoro, in tutti i settori di attività privati o pubblici. La normativa si applica ogniqualvolta vi sia un Datore di Lavoro (DDL) e almeno un lavoratore di qualsiasi tipologia contrattuale, che sia o no pagato.
Tutte le aziende devono adempiere agli obblighi previsti dal D.Lgs. 81/08:
– società di capitali;
– società di persone con 2 soci (uno è datore di lavoro e l’altro è assimilato a lavoratore);
– ditta individuale con almeno un lavoratore.
Sono escluse dagli obblighi le imprese famigliari senza dipendenti, i lavoratori autonomi e le associazioni di volontariato.

Ho un’attività stagionale i miei dipendenti devono svolgere la formazione sulla sicurezza?

Tutti i lavoratori, così come definiti dal D. Lgs. 81/2008, entro 60 giorni dall’inizio della loro attività sono tenuti a frequentare il corso di formazione, in base alla tipologia di rischio ed al codice ateco dell’attività, così suddiviso:

GENERALE di 4 ore (propedeutico al modulo successivo
BASSO di 4 ore
MEDIO di 4 ore
ALTO di 4 ore

Ho un’attività alimentare stagionale i miei dipendenti devono svolgere la formazione HACCP?

Nel caso di personale assunto con contratti atipici e stagionali, si ritiene opportuno che l’obbligo formativo sia già stato assolto e opportunamente documentato al momento dell’assunzione. In assenza delle condizioni che permettano l’attuazione di quanto sopra indicato, limitatamente ai contratti di durata inferiore a trenta giorni, la formazione di tale personale potrà essere sostituita da un addestramento mirato e documentato, effettuato dal responsabile del piano di autocontrollo e/o dal datore di lavoro (a condizione che siano in possesso dell’attestato di partecipazione al corso per titolari e responsabili del piano di autocontrollo, nonché dell’attestato relativo al corso di aggiornamento), della durata di almeno quattro ore.

Ho un’attività alimentare stagionale devo redigere il manuale HACCP?

Redigere il manuale haccp è obbligatorio per tutte le attività del settore alimentare indipendentemente dalle loro mansioni.

HACCP – Autocontrollo alimentare

Cosa si intende per HACCP?

H.A.C.C.P. significa Hazard Analysis Critical Control Points, cioè analisi dei pericoli e punti critici di controllo; è un sistema che serve per evitare pericoli per la sicurezza alimentare che possono verificarsi durante lo stoccaggio, la preparazione, la manipolazione di alimenti, etc.

Qual è la normativa vigente in materia di HACCP?

Da gennaio 2006 è stato applicato a livello Europeo il Pacchetto Igiene. Il Regolamento CE 852/2004 costituisce il riferimento normativo generale e, insieme al Regolamento CE 178/2002 (rintracciabilità), definisce i requisiti generali della legislazione alimentare e conferma i principi fondamentali del metodo HACCP. Il D. Lgs. 193/2007 ha decretato l’abrogazione del D. Lgs. 155/1997 (primo testo normativo su HACCP) ed ha fissato specifiche sanzioni per il mancato adempimento di quanto previsto dal Regolamento CE 852/2004. Il Regolamento UE 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, norma l’etichettatura dei prodotti, etc.

Quali sono le procedure principali in materia di HACCP?

Le procedure principali in materia di autocontrollo alimentare sono le seguenti:

  1. Identificare ogni pericolo da prevenire, eliminare o ridurre
  2. Identificare i punti critici di controllo (CCP – Critical Control Points) nelle fasi in cui è possibile prevenire, eliminare o ridurre un rischio
  3. Stabilire, per questi punti critici di controllo, i limiti critici che differenziano l’accettabilità dalla inaccettabilità
  4. Stabilire e applicare procedure di sorveglianza efficaci nei punti critici di controllo
  5. Stabilire azioni correttive se un punto critico non risulta sotto controllo (superamento dei limiti critici stabiliti)
  6. Stabilire le procedure da applicare regolarmente per verificare l’effettivo funzionamento delle misure adottate
  7. Predisporre documenti e registrazioni adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresa alimentare.
Ho un’attività alimentare, che documentazione devo avere? Cosa devo fare?

Qualsiasi attività che effettua preparazione, trasformazione, manipolazione, confezionamento, trasporto, somministrazione, vendita di prodotti alimentari è soggetta alla normativa in materia di HACCP.
Ogni attività alimentare deve avere in azienda una serie di documentazione che garantisca la corretta applicazione della normativa, tra i quali:
SCIA indicante la tipologia di attività svolta
Requisiti igienico-sanitari, urbanistici, edilizi (pareti dei locali a contatto con alimenti con pareti piastrellate fino a 2m o vernice lavabile)
Manuale di autocontrollo
Registro allergeni e ingredienti
Etichettatura prodotti
Elenco dei fornitori
Elenco dei clienti
Registro delle temperature e abbattitura
Registro delle pulizie
Attestati di formazione del personale coinvolto
registro di formazione/addestramento del personale
Eventuali interventi in materia di pest control
Analisi su superfici e cibi (creme, etc)
Eventuali analisi dell’acqua

Il manuale HACCP ha una scadenza, ogni quanto deve essere aggiornato?

Il manuale di autocontrollo deve essere aggiornato/modificato ogni volta in cui vi siano modifiche delle modalità di lavorazione e delle tecnologie utilizzate, in particolare quando vi sono variazioni riguardanti:
– ragione sociale
– adeguamenti normativi
– modifiche di locali
– Acquisto e/o modifica di attrezzature
– procedure operative
– variazione punti critici di controllo

Tutto il sistema di autocontrollo e la relativa documentazione devono essere tenuti in continuo aggiornamento.

Voglio aprire un’attività alimentare, cosa devo fare?

Qualsiasi persona che desideri aprire un’attività alimentare volti alla produzione, trasformazione, trasporto, magazzinaggio, somministrazione, vendita, etc. devono:
– presentare la Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) mediante Sportello Unico delle Attività Produttive (SUAP)
– essere in possesso di almeno uno fra i requisiti professionali (attestato SAB Ex REC, aver prestato lavoro per almeno 2 anni in attività alimentare, avere diploma o laurea in materie commercio, alla preparazione o alla somministrazione degli alimenti)
– requisiti igienico-sanitari, urbanistici, edilizi
– Redigere il Manuale di autocontrollo
– In caso di dipendenti avere gli attestati di formazione
– Avere tutto il resto della documentazione necessaria (ad esempio registro allergeni e ingredienti, registro delle temperature, elenco fornitori, etc.).

Voglio modificare e/o ampliare le tipologie di attività svolte, cosa devo fare?

In caso di modifica e/o ampliamento delle attività svolte bisogna:
– presentare la Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) modificata mediante Sportello Unico delle Attività Produttive (SUAP).

Cosa si intende per attività alimentare semplice e complessa?

Quando si parla di attività semplici si intendono quelle ad esempio che si occupano di vendita, somministrazione, deposito, trasporto, etc.; quelle attività in cui non vi è una manipolazione diretta dell’alimento ai fini di una sua trasformazione in un nuovo prodotto. Ad esempio, sono semplici le attività come: esercizi di somministrazione senza preparazione o con limitata tipologia produttiva (bar, caffè, pub, gelaterie, birrerie, pasticcerie etc.), sporzionamento di pasti pronti in mense e strutture assistenziali, depositi di sostanze alimentari, trasporto di alimenti, vendita di carni fresche, prodotti della pesca e ortofrutticoli, negozi di generi alimentari confezionati.

Quando si parla di attività complesse si intendono quelle attività in cui vi è una manipolazione diretta dell’alimento finalizzata alla produzione e preparazione di alimenti. Ad esempio sono complesse le attività come: esercizi di somministrazione con preparazione (pizzerie, ristoranti, trattorie, osterie, tavole calde, self-service, etc.), laboratori di produzione industriale e artigianale, catering, produzione di alimenti da asporto (rosticcerie, gastronomie, friggitorie, etc.), produzione di pasti per la ristorazione collettiva (cucine di mense aziendali, scuole, ospedali, strutture assistenziali etc.), panifici, laboratori di pasta fresca, laboratori di produzione di gelato, laboratori di pasticceria etc.

Cos’è il corso SAB – Ex REC?

Con il termine SAB si identifica il corso di somministrazione Alimenti e Bevande che va a sostituire il vecchio REC, dicitura con cui si faceva riferimento al Registro Esercenti il Commercio al quale era obbligatorio iscriversi se si voleva avviare un’attività di somministrazione di alimenti e bevande. Chiunque fosse intenzionato ad aprire un locale che somministra alimenti e bevande è obbligato a frequentare il corso SAB, come stabilito dal Decreto Legislativo n.59 del 2010, a meno che non rientri in una delle seguenti tipologie:
– aver prestato la propria opera, per almeno due anni, anche non continuativi, nel quinquennio precedente, presso imprese esercenti l’attività nel settore alimentare o nel settore della somministrazione di alimenti e bevande, in qualità di dipendente qualificato, addetto alla vendita o all’amministrazione o alla preparazione degli alimenti, in qualità di socio lavoratore o, se trattasi di coniuge, parente o affine entro il terzo grado dell’imprenditore, in qualità di coadiutore familiare, comprovata dall’iscrizione all’Istituto nazionale previdenza sociale (INPS);
– essere in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore o di laurea, anche triennale, o di altra scuola ad indirizzo professionale, almeno triennale, purchè nel corso di studi siano previste materie attinenti al commercio, alla preparazione o alla somministrazione degli alimenti.

Ho un’attività senza dipendenti, sono soggetto alla normativa?

Tutte le attività alimentari sono soggette all’applicazione della normativa HACCP, indipendentemente dal fatto che ci siano o meno dipendenti.

Ho un’attività complessa con una parte di attività semplice, che corsi devo svolgere?

In merito al corso di formazione per il responsabile dell’attività si applica l’attività a maggior “rischio”, quindi il corso per attività alimentari complesse.
Per quanto inerente i corsi di formazione del personale, questi seguono l’attività svolta dagli stessi, quindi la mansione.
Ad esempio se ho un panificio con il laboratorio e un punto di vendita annesso dovrò effettuare i corsi di formazione come segue:
– Responsabile attività alimentare complessa
– Addetto attività alimentare complessa (Se il personale effettua lavorazioni all’interno del laboratorio)
– Addetto attività alimentare semplice (Se il personale effettua solamente attività al banco vendita).

Il dipendente deve svolgere qualche corso di formazione?

Tutti i lavoratori che entrano a contatto con alimenti, che manipolano alimenti, etc. devono effettuare un corso di formazione, il quale deve essere aggiornato dopo un periodo di tempo stabilito da ogni regione, ad esempio in Toscana e Liguria sono 5 anni.

Quali corsi di formazione sono obbligatori in Toscana?

I percorsi formativi variano da regione a regione, ad esempio in Toscana:

– Responsabile attività alimentare semplice 12 ore
– Responsabile attività alimentare complessa 16 ore
– Addetto attività alimentare semplice 8 ore
– Addetto attività alimentare complessa 12 ore

Detti corsi devono essere aggiornati a partire dalla data di fine del corso di formazione dopo 5 anni:
– Responsabile attività alimentare 8 ore
– Addetto attività alimentare 4 ore

Quali corsi di formazione sono obbligatori in Liguria?

I percorsi formativi variano da regione a regione, ad esempio in Liguria:

– Responsabile attività alimentare semplice 16 ore
– Responsabile attività alimentare complessa 16 ore
– Addetto attività alimentare semplice 8 ore
– Addetto attività alimentare complessa 16 ore

Detti corsi devono essere aggiornati a partire dalla data di fine del corso di formazione dopo 5 anni:
– Responsabile attività alimentare 8 ore
– Addetto attività alimentare 4 ore

Posso essere esentato da effettuare il corso di formazione?

Ci sono alcuni casi in cui la persona può essere esentata da effettuare il corso di formazione:
– i soggetti laureati di 1° o 2° livello in medicina e chirurgia, medicina veterinaria, scienze delle produzioni animali, scienze agrarie, scienze forestali e ambientali, farmacia, chimica, scienze biologiche, biotecnologie, scienze e tecnologie alimentari, dietistica, tecniche della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro, tecniche erboristiche, economia e ingegneria della qualità;
– i soggetti laureati in discipline riconosciute equipollenti e documentate;
– i periti agrari e gli agrotecnici;
– i soggetti diplomati della scuola alberghiera che abbiano documentato nel curriculum di studi lo svolgimento di programmi specifici in materia di analisi del rischio e di autocontrollo.
– i soggetti che hanno frequentato con profitto i corsi di formazione istituiti ai sensi dell’art.5 della L.114/98 e disciplinati con deliberazione della Giunta regionale 866 del 7/08/2000.

Ho assunto un nuovo dipendente, deve essere già formato? Quanto tempo ho per formarlo?

L’obbligo della formazione del personale (titolare e addetti) deve essere assolto entro 180 giorni dall’inizio dell’attività lavorativa o dalla data di assunzione.

Se non sono a posto con la normativa rischio delle sanzioni?

Riportiamo di seguito alcune delle principali sanzioni che possono essere applicate:
1. per mancata notifica all’autorità competente di ogni stabilimento che esegue una qualsiasi delle fasi di produzione, trasformazione e distribuzione di alimenti è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 1.500 a euro 9.000.
2. per attività di macellazione di animali, di produzione e preparazione di carni in luoghi diversi dagli stabilimenti o dai locali riconosciuti ai sensi del Reg. CE n. 853/04 è previsto arresto da sei mesi ad un anno o ammenda fino a euro 150.000, in base alla gravità del reato
3. per lo svolgimento di attività in stabilimenti non riconosciuti o effettuazione di attività quando il riconoscimento è sospeso o revocato, o che pur essendo condotte presso un impianto riconosciuto, non siano state comunicate all’autorità competente per l’aggiornamento del riconoscimento è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 30.000.
4. per la mancata comunicazione all’autorità competente di variazioni o modifiche di attività già registrate per l’aggiornamento della registrazione è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 500 a euro 3.000.
5. per il mancato rispetto dei requisiti generali in materia di igiene (requisiti strutturali) è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 500 a euro 3.000.
6. per l’omessa predisposizione di procedure di autocontrollo igienico sanitario basate sui principi HACCP è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 1.000 a euro 6.000.
7. nel caso in cui l’autorità competente riscontri delle inadeguatezze nei requisiti e nelle procedure di cui ai punti 5 e 6, fissa un congruo temine di tempo entro il quale tali inadeguatezze devono essere eliminate. Il mancato adempimento entro i termini stabiliti è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 1.000 a euro 6.000.
8. per il mancato o non corretta applicazione del Piano di Autocontrollo (HACCP) è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 1.000 a euro 6.000.
9. per l’omessa indicazione sull’etichetta del prodotto alimentare di origine animale del numero di riconoscimento dello stabilimento di produzione è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 500 a euro 3.000.
10. per l’immissione in commercio di carni fresche refrigerate o congelate prive di bollatura sanitaria è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 3.000 a euro 8.000.
11. per la mancata predisposizione di sistemi e procedure che consentano di individuare, in qualsiasi momento, chi abbia fornito loro un alimento o qualsiasi sostanza atta a entrare a far parte di un alimento e di individuare le imprese alle quali hanno fornito i loro prodotti (Procedura di tracciabilità e rintracciabilità) è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 750 a euro 4.500.
12. per la mancata attivazione della procedura di ritiro dei prodotti non conformi ai requisiti di sicurezza, salvo che il fatto non costituisca reato, è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 3.000 a euro 18.000.
13. per la mancata informazione di attivazione della procedura di ritiro dei prodotti all’autorità competente è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 500 a euro 3.000.
14. per la mancata collaborazione con l’autorità competente al fine di evitare o ridurre i rischi legati ad un alimento, salvo che il fatto non costituisca reato, è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.000 a euro 12.000.
15. per la mancata informazione del consumatore dei motivi che hanno determinato l’attivazione della procedura per il ritiro dal mercato, qualora un prodotto sia risultato non conforme ai requisiti di sicurezza, salvo che il fatto non costituisca reato, è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.000 a euro 12.000

Ho costituito una nuova società quanto tempo ho per mettermi in regola?

In caso di costituzione di nuova impresa, il datore di lavoro è tenuto ad effettuare immediatamente il manuale HACCP e il corso di formazione per responsabile ed addetti deve essere assolto entro 180 giorni dall’inizio dell’attività lavorativa.

Come devo gestire e conservare i prodotti in frigorifero/cella?

Le norme igieniche prevedono di:
– separare i prodotti per gruppi e generi
– separare gli alimenti cotti da quelli crudi
– proteggere gli alimenti inserendoli in contenitori coperti o in sacchetti
– mettere ai ripiani più bassi tutti i prodotti che possono perdere liquidi
– dotarli di apposita etichetta, se non già presente

Ho preparato un prodotto da vendere alla grande distribuzione, devo avere un’etichetta?

Il Regolamento UE 1169/2011 ha stabilito a livello europeo i contenuti che devono avere le etichette dei prodotti alimentari confezionati.
Si riportano di seguito i contenuti da riportare in un’etichetta alimentare, dettati dall’articolo 9 del Regolamento:
a) la denominazione dell’alimento;
b) l’elenco degli ingredienti;
c) qualsiasi ingrediente o coadiuvante tecnologico elencato nell’allegato II o derivato da una sostanza o un prodotto elencato in detto allegato che provochi allergie o intolleranze usato nella fabbricazione o nella preparazione di un alimento e ancora presente nel prodotto finito, anche se in forma alterata;
d) la quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti;
e) la quantità netta dell’alimento;
f) il termine minimo di conservazione o la data di scadenza;
g) le condizioni particolari di conservazione e/o le condizioni d’impiego;
h) il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare di cui all’articolo 8, paragrafo 1;
i) il paese d’origine o il luogo di provenienza ove previsto all’articolo 26;
j) le istruzioni per l’uso, per i casi in cui la loro omissione renderebbe difficile un uso adeguato dell’alimento;
k) per le bevande che contengono più di 1,2 % di alcol in volume, il titolo alcolometrico volumico effettivo;
l) una dichiarazione nutrizionale.

Posso congelare degli alimenti all’interno della mia attività?

Si può tranquillamente congelare gli alimenti all’interno dell’attività, ma è necessario l’utilizzo di un macchinario chiamato abbattitore. Il possesso dell’abbattitore termico non è un obbligo di legge, tuttavia è la procedura di abbattimento ad essere obbligatoria.
I Regolamenti CE 852e 853 del 2004 in materia di sicurezza ed igiene alimentare indicano le modalità di utilizzo dell’abbattitore termico. Sono dunque 2 gli scenari possibili:
– Possedere ed utilizzare l’abbattitore in loco;
– Acquistare e utilizzare prodotti alimentari già debitamente abbattuti termicamente.
Si deduce quindi che per poter congelare direttamente in attività degli alimenti bisogna avere un abbattitore termico.In entrambi i casi la somministrazione di questi alimenti deve essere controllata e regolata tramite le schede di autocontrollo, secondo le normative relative ai protocolli HACCP.Una volta congelato il prodotto a questo dovrà essere applicata apposita etichetta indicante:
– denominazione merceologica dell’alimento (nome)
– data congelamento
– Numero bollaNel caso di prodotti ittici, qualunque tipologia di prodotto ittico destinato al consumo crudo o quasi crudo deve essere sottoposto a trattamento di bonifica preventiva conformemente alle prescrizioni del Regolamento (CE) 853/04, allegato III, sezione VIII, capitolo 3, lettera D, punto 3”.

Cosa sono gli allergeni?

Con il termine allergeni si intendono alimenti o loro componenti che possono scatenare reazioni immuno-mediate.
Regolamento Europeo 1169/2011, che disciplina l’obbligo, per tutte le aziende del settore alimentare, di informare la clientela in merito agli allergeni utilizzati per la preparazione di ogni alimento che viene preparato e servito all’interno della propria attività.
Per il regolamento sono allergeni:
1. Cereali contenenti glutine, cioè: grano, segale, orzo, avena, farro, kamut o i loro ceppi ibridati e prodotti derivati
2. Arachidi e prodotti a base di arachidi
3. Uova e prodotti a base di uova.
4. Latte e prodotti a base di latte (incluso lattosio)
5. Frutta a guscio
6. Crostacei e prodotti a base di crostacei
7. Molluschi e prodotti a base di molluschi.
8. Pesce e prodotti a base di pesce
9. Semi di sesamo e prodotti a base di semi di sesamo.
10. Soia e prodotti a base di soia
11. Senape e prodotti a base di senape.
12. Sedano e prodotti a base di sedano.
13. Lupini e prodotti a base di lupini.
14. Anidride solforosa e solfiti in concentrazioni superiori a 10 mg/kg o 10 mg/litro

Cos’è l’acrillammide?

L’acrilammide è un agente contaminante che costituisce un pericolo chimico per la catena alimentare, è una sostanza che può formarsi, in modo del tutto naturale, durante la cottura dei prodotti amidacei contenenti zucchero e l’amminoacido asparagina.
Si sviluppa durante la cottura di alimenti ad una temperatura superiore ai 120° C, come ad esempio durante la frittura, etc.
L’acrilammide è una sostanza genotossica e cancerogena, che può provocare mutazioni del DNA ed aumentare il rischio di tumore. Tutte le persone sono esposte, ma in particolar modo lo sono i bambini, in virtù del largo consumo di alimenti a rischio e del loro peso corporeo.
I prodotti alimentari che possono presentare l’acrilammide sono:
a) patate fritte tagliate a bastoncino, altri prodotti tagliati fritti e patatine (chips), ottenuti a partire da patate fresche;
b) patatine, snack, cracker e altri prodotti a base di patate ottenuti a partire da pasta di patate;
c) pane;
d) cerali per la prima colazione (escluso il porridge);
e) prodotti da forno fini: biscotti, gallette, fette biscottate, barrette ai cereali, scones, coni, cialde, crumpets e pane con spezie (panpepato), nonché cracker, pane croccanti e sostituti del pane. In questa categoria per «cracker» si intende una galletta secca (prodotto da forno a base di farina di cereali);
f) caffè:
i) caffè torrefatto
ii) caffè (solubile) istantaneo;
g) succedanei del caffè;
h) alimenti per la prima infanzia e alimenti a base di cereali destinati ai lattanti e ai bambini nella prima infanzia, quali definiti nel regolamento (UE) n. 609/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio.

Faq – Domande frequenti Sicurezza sui luoghi di lavoro

Qual è la normativa vigente in materia di sicurezza?

La legge di riferimento per gli adempimenti relativi alla sicurezza sui luoghi di lavoro è il decreto legislativo n. 81 dell’ 9 Aprile 2008 (D.Lgs. 81/08) definito anche Testo Unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Questo D.Lgs. è stato successivamente modificato ed integrato da altre leggi come ad esempio la L. n. 88/09 e il D.Lgs. n. 106/09.

Ho un’attività in cui vi sono solo 2 soci, sono soggetto alla normativa?

Il D.Lgs. 81/2008, nell’art. 3 prescrive misure per la tutela della salute e per la sicurezza dei lavoratori durante il lavoro, in tutti i settori di attività privati o pubblici. La normativa si applica ogniqualvolta vi sia un Datore di Lavoro (DDL) e almeno un lavoratore di qualsiasi tipologia contrattuale, che sia o no pagato.
Tutte le aziende devono adempiere agli obblighi previsti dal D.Lgs. 81/08:
– società di capitali;
– società di persone con 2 soci (uno è datore di lavoro e l’altro è assimilato a lavoratore);
– ditta individuale con almeno un lavoratore.
Sono escluse dagli obblighi le imprese famigliari senza dipendenti, i lavoratori autonomi e le associazioni di volontariato.

Ho un’attività con un solo dipendente, sono soggetto alla normativa?

Il D.Lgs. 81/2008, nell’art. 3 prescrive misure per la tutela della salute e per la sicurezza dei lavoratori durante il lavoro, in tutti i settori di attività privati o pubblici. La normativa si applica ogniqualvolta vi sia un Datore di Lavoro (DDL) e almeno un lavoratore di qualsiasi tipologia contrattuale, che sia o no pagato.
Tutte le aziende devono adempiere agli obblighi previsti dal D.Lgs. 81/08:
– società di capitali;
– società di persone con 2 soci (uno è datore di lavoro e l’altro è assimilato a lavoratore);
– ditta individuale con almeno un lavoratore.
Sono escluse dagli obblighi le imprese famigliari senza dipendenti, i lavoratori autonomi e le associazioni di volontariato.

Ho un’attività con dipendenti che documentazione devo avere?

Il D.Lgs. 81/2008 stabilisce l’obbligo per il datore di lavoro di effettuare una serie di adempimenti e documentazione che deve essere presente in azienda, tra i quali:
– DVR (Documento di valutazione dei rischi), il quale deve essere aggiornato ogni qualvolta vi sia una modifica aziendale (cambio di mansioni, modifica di lavoratori, aggiunta o modifica di attività, aggiunta e/o modifica di macchinari, etc.)
– Valutazione dei rischi specifici in base alle attività svolte (Rumore, vibrazioni, chimico, MMC, etc.)
– Nomine con relativo attestato
– RSPP
– RLS/RLST
– antincendio
– primo soccorso
– preposto
– medico competente
– Visite mediche dei dipendenti
– Modulo di consegna dei DPI ai dipendenti
– Documentazione inerente gli impianti (Verifica della messa a terra, dichiarazione di conformità impianto elettrico, etc.)
– Libretti di uso e manutenzione dei macchinari/attrezzature
– Schede di sicurezza dei prodotti utilizzati

Cos’è il DVR?

Il DVR (Documento di valutazione dei rischi) è un documento obbligatorio che deve essere dotato di data certa e sottoscritto dal datore di lavoro in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale e il medico competente e deve contenere:
a) una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa, nella quale siano specificati i criteri adottati per la valutazione stessa. La scelta dei criteri di redazione del documento è rimessa al datore di lavoro, che vi provvede con criteri di semplicità, brevità e comprensibilità, in modo da garantirne la completezza e l’idoneità quale strumento operativo di pianificazione degli interventi aziendali e di prevenzione;
b) l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati, a seguito della valutazione di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a) D.Lgs. 81/08;
c) il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza; d) l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare, nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri;
e) l’indicazione del nominativo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o di quello territoriale e del medico competente che ha partecipato alla valutazione del rischio;
f) l’individuazione delle mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi specifici che richiedono una riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza, adeguata formazione e addestramento.

Il contenuto del documento deve altresì rispettare le indicazioni previste dalle specifiche norme sulla valutazione dei rischi contenute nei successivi titoli del presente decreto.

Il DVR scade? Deve essere aggiornato?

Il DVR (Documento di valutazione dei rischi) ed il resto della documentazione in materia di sicurezza devono essere tenuti in continuo aggiornamento.
Il DVR deve essere aggiornato in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione o della protezione o a seguito di infortuni significativi o quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità. A seguito di tale rielaborazione, le misure di prevenzione debbono essere aggiornate.

Cosa si intende per lavoratore?Voglio modificare e/o ampliare le tipologie di attività svolte, cosa devo fare?

Il lavoratore è la persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari.
Al lavoratore così definito è equiparato:
– il socio lavoratore di cooperativa o di società, anche di fatto, che presta la sua attività per conto della società e dell’ente stesso;
– l’associato in partecipazione (art. 2549 codice civile);
– il soggetto beneficiario delle iniziative di tirocini formativi e di orientamento, art. 18 legge n. 196/97, e di cui a specifiche disposizioni delle leggi regionali promosse al fine di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro o di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro;
– l’allievo degli istituti di istruzione ed universitari e il partecipante ai corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici, ivi comprese le apparecchiature fornite di videoterminali limitatamente ai periodi in cui l’allievo sia effettivamente applicato alla strumentazioni o ai laboratori in questione;
– il volontario, come definito dalla legge n. 266/91;
– i volontari del corpo nazionale dei vigili del fuoco e della protezione civile; – il volontario che effettua il servizio civile;
– il lavoratore di cui al D.Lgs. n. 486/97 e s.m.i.

Quali sono le figure che devono essere presenti in azienda per la sicurezza?

Le figure che devono essere presenti in azienda in materia di sicurezza sono le seguenti:
RSPP (Responsabile del servizio di prevenzione e protezione
RLS/RLST Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (può essere anche Territoriale)
Addetti Antincendio
Addetti Primo soccorso
Medico competente (Necessario in tutte le attività in cui i dipendenti sono soggetti a rischi)

Altre figure che possono/devono essere presenti in base alla tipologia di azienda sono:
Preposto
Dirigente

Ho un’attività, sono obbligato a nominare un medico competente?

La sorveglianza sanitaria è obbligatoria e quindi è obbligatorio nominare il medico competente nei casi previsti dalla legge, ovvero quando vi siano rischi che espongano i lavoratori ad un livello di rischio non basso/accettabile. Se ci basiamo su quanto previsto dalle normative, i rischi che obbligano la sua nomina sono tali da essere davvero rari i casi in cui non è necessaria questa figura.
Secondo il D.Lgs. 81/08, il medico competente deve essere nominato in caso di:
– lavorazioni che prevedono la movimentazione manuale di carichi o movimenti ripetuti delle braccia
– lavoratori addetti al videoterminale per almeno 20 ore medie settimanali
– esposizione ad agenti fisici come rumore, ultrasuoni, infrasuoni, vibrazioni meccaniche, campi elettromagnetici, radiazioni ottiche, polveri e microclima; a sostanze pericolose: chimiche, cancerogene, mutagene e sensibilizzanti; esposizione ad agenti biologici
– lavoro notturno
– esposizione a radiazioni ionizzanti
– lavoro nei cassoni ad aria compressa
– lavoro in ambienti confinati
– lavori su impianti elettrici ad alta tensione
– posture incongrue lavori in altezza
– lavori soggetti a controllo di assenza di tossicodipendenza

Quali sono gli accertamenti medici?

Accertamenti medici preventivi
Vanno effettuati prima che il lavoratore venga collocato alla mansione.
Servono per valutare l’idoneità alla mansione alla quale deve essere collocato il lavoratore e la compatibilità della mansione con le condizioni di salute dello stesso.
Accertamenti medici periodici
Vengono effettuati con periodicità stabilita in funzione della mansione (di solito una volta all’anno).
Servono per controllare nel tempo lo stato di salute del lavoratore e l’insorgenza di eventuali patologie causate dall’esposizione a rischi specifici e per verificare il mantenimento dell’idoneità alla mansione.
Accertamenti medici alla cessazione del rapporto di lavoro
Vengono svolti nel caso in cui il lavoratore sia stato esposto a rischio chimico, biologico, ad agenti cancerogeni e mutageni.
Servono per valutare lo stato di salute del lavoratore e per dare eventuali indicazioni in merito a prescrizioni da osservare ed accertamenti da effettuare dopo la cessazione del rapporto di lavoro.
Accertamenti integrativi specifici
Vengono effettuati a seconda dei rischi e del protocollo sanitario. I più frequenti sono:
Screening di acuità visiva per gli impiegati addetti al videoterminale.
Spirometria – Screening spirometrico.
Screening audiometrico (audiometria).
E.C.G.
Elettrocardiogramma.
Analisi emato-chimiche di laboratorio.
Test tossicologico per verificare l’assenza di assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Accertamento diagnostico per verificare l’assenza di assunzione di alcol.

Quanto dura la visita medica?

Le visite possono avere una cadenza che varia in base alle tipologie di rischio a cui è soggetto il dipendente, al suo stato di salute, etc.; la sua periodicità viene comunque stabilita dal medico competente sulla base del protocollo sanitario e posso essere di durata:
– annuale
– biennale
– quinquennale
– periodicità inferiori sulla base della decisione del medico, ad esempio nei casi in cui il dipendente abbia delle prescrizioni particolari

Chi può svolgere il corso da RSPP?

Gli art. 31 e 34 del D.Lgs. 81/08 stabiliscono che per svolgere l’incarico di RSPP è necessario essere in possesso di un titolo di studio non inferiore al diploma di istruzione secondaria superiore e tale ruolo può essere ricoperto da:
– Datore di lavoro (consigliato anche dall’UE)
– un dipendente dell’azienda
– un consulente esterno

Quando il datore di lavoro può essere RSPP?

Di seguito si riportano i casi in cui è consentito lo svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di prevenzione e protezione dei rischi (articolo 34 D.Lgs. 81/08):

Aziende:
– artigiane e industriali (1) fino a 30 lavoratori
– Agricole e zootecniche fino a 30 lavoratori
– della pesca fino a 20 lavoratori
– Altre aziende fino a 200 lavoratori

(1) Escluse le aziende industriali di cui all’art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio 1988, n. 175, e successive modifiche, soggette all’obbligo di dichiarazione o notifica ai sensi degli articoli 4 e 6 del decreto stesso, le centrali termoelettriche, gli impianti ed i laboratori nucleari, le aziende estrattive e altre attività minerarie, le aziende per la fabbricazione ed il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni, le strutture di ricovero e cura sia pubbliche sia private.

Quando il RSPP deve essere svolto da un dipendente interno all’azienda?

L’istituzione del servizio di prevenzione e protezione è obbligatoria all’interno dell’azienda, ovvero dell’unità produttiva, da parte di un dipendente, nei seguenti casi:

  1. nelle aziende industriali di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334(N), e successive
  2. nelle centrali termoelettriche;
  3. negli impianti ed installazioni di cui agli articoli 7, 28 e 33 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230(N), e
  4. nelle aziende per la fabbricazione ed il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni;
  5. nelle aziende industriali con oltre 200 lavoratori;
  6. nelle industrie estrattive con oltre 50 lavoratori;
  7. nelle strutture di ricovero e cura pubbliche e private con oltre 50 lavoratori.
Devo svolgere il corso da RSPP per datore di lavoro, che durata ha?

La durata del corso formazione per RSPP datore di lavoro varia in relazione al livello di rischio della sua azienda, stabilito dal codice ateco della sua attività principale e si divide come segue:
– BASSO: 16 ore
– MEDIO: 32 ore
– ALTO: 48 ore

Detti corsi devono essere aggiornati a partire dalla data di fine del modulo di formazione e si dividono come segue:
– BASSO: 6 ore
– MEDIO: 10 ore
– ALTO: 14 ore

Devo svolgere il corso da RSPP non per datore di lavoro, che durata ha?

L’ Accordo Stato-Regioni del 7/7/16 sulla formazione degli RSPP e ASPP (nel caso in cui siano svolti da un soggetto diverso dal datore di lavoro) stabilisce che per queste due figure debba essere effettuato un corso di formazione composto da diversi “moduli”:

MODULO A: corso base di 28 ore per lo svolgimento della funzione di RSPP e ASPP

MODULO B generale: corso di 48 ore comune a tutti i macrosettori, approfondisce la tematica della sicurezza e dei rischi presenti sul luogo di lavoro.
MODULI B di specializzazione (SP1, SP2, SP3, SP4): corsi di specializzazione, nei quali si approfondisce la tematica della sicurezza con riferimento a particolari settori ATECO 2007, in particolare:

SP1: modulo di specializzazione di 12 ore per il settore ATECO 2007 “A – Agricoltura, silvicoltura e pesca”
SP2: modulo di specializzazione di 16 ore per il settore ATECO 2007 “B – Estrazione di minerali da cave e miniere” e “F – Costruzioni”
SP3: modulo di specializzazione di 12 ore per il settore ATECO 2007 “Q, 86.1 e 87 – Sanità e assistenza sociale”
SP4: modulo di specializzazione di 16 ore per il settore ATECO 2007 “C, 19 e 20 – Attività manifatturiere”

MODULO C: corso di specializzazione di 24 ore per RSPP, finalizzato alla gestione dei processi formativi, organizzativi e all’utilizzo delle corrette forme di comunicazione in ambito aziendale.

Per detti corsi è previsto un aggiornamento ogni 5 anni dalla scadenza del modulo B così composto:
ASPP: 20 ore
RSPP: 40 ore

L’aggiornamento può essere ottemperato anche per mezzo della partecipazione a convegni e seminari con argomenti e contenuti inerenti alla normativa per un totale di ore che non può comunque superare il 50% del totale:
ASPP: 10 ore
RSPP: 20 ore

Ho assunto un nuovo dipendente, deve essere già formato? Quanto tempo ho per formarlo?

Il personale di nuova assunzione deve essere avviato ai rispettivi corsi di formazione anteriormente o, se ciò non risulta possibile, contestualmente all’assunzione. In tale ultima ipotesi, ove non risulti possibile completare il corso di formazione prima della adibizione del dirigente, del preposto o del lavoratore alle proprie attività, il relativo percorso formativo deve essere completato entro e non oltre 60 giorni dalla sua assunzione.

Il dipendente deve svolgere qualche corso di formazione?

Tutti i lavoratori devono effettuare un corso di formazione in materia di sicurezza sul lavoro inerente i rischi connessi alla loro attività. I percorsi formativi sono suddivisi in 2 moduli:

– Formazione generale di 4 ore uguale per tutti
– Formazione specifica in base al lavoro svolto e al livello di rischio dell’azienda:
– 4 ore per settori a rischio basso
– 8 ore per settori a rischio medio
– 12 ore per settori a rischio alto

Detti corsi devono essere aggiornati a partire dalla data di fine del modulo di formazione specifica e sono previste per tutti 6 ore di aggiornamento entro i 5 anni.

Ho costituito una nuova società quanto tempo ho per mettermi in regola?

In caso di costituzione di nuova impresa, il datore di lavoro è tenuto ad effettuare immediatamente la valutazione dei rischi elaborando il relativo documento entro 90 giorni dalla data di inizio della propria attività.
Anche in caso di costituzione di nuova impresa, il datore di lavoro deve comunque dare immediata evidenza, attraverso idonea documentazione, dell’adempimento degli obblighi.
Nel caso in cui il datore di lavoro decida di svolgere direttamente il ruolo di RSPP, tale corso deve essere svolto entro 90 giorni dalla data di inizio della propria attività.

Se non sono a posto con la normativa rischio delle sanzioni?

Riportiamo di seguito alcune delle principali sanzioni che possono essere applicate:
– arresto da tre a sei mesi o ammenda da euro 2.792,06 a euro 714767 per non aver valutato i rischi o non aver elaborato il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR)
– arresto da tre a sei mesi o ammenda da euro 2.792.06 a euro 714767 per non aver designato il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP), non aver frequentato corsi di formazione, di durata minima di 16 ore e massima di 48 ore, qualora intenda svolgere direttamente i compiti propri del servizio di prevenzione e protezione
– ammenda da euro 2.233,65 a euro 4.46730 per aver elaborato il DVR senza l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate. dei dispositivi di protezione individuali adottati, ecc.
– arresto da due a quattro mesi o ammenda da euro 1.116,82 a euro 5.360,76 per non aver verificato l’idoneità tecnico-professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi – ammenda da euro 1.116,82 a euro 2.233,65 per aver elaborato il DVR senza una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa
– ammenda da euro 1.340,19 a euro 5.80748 o arresto da due a quattro mesi per non aver tenuto conto delle capacità e delle condizioni di salute dei lavoratori prima di affidargli determinate mansioni
– arresto da due a quattro mesi o ammenda da euro 1.675,24 a euro 6.700,94 per non aver nominato il medico competente per la sorveglianza sanitaria nei casi previsti dalla legge o per non aver fornito ai lavoratori dispositivi di protezione individuale
– ammenda da euro 2.233,65 a euro 4.467,30 per non aver inviato i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria o non aver tenuto la riunione periodica in occasione di significative variazioni delle condizioni di esposizione al rischio
– arresto da due a quattro mesi o ammenda da euro 1.340,19 a euro 5.80748 per non aver provveduto ad informare i lavoratori sui rischi per la salute e sicurezza sul lavoro
– arresto da due a quattro mesi o ammenda da euro 1.340,19 a euro 5.807,48 per non aver adottato idonee misure per prevenire gli incendi e per tutelare l’incolumità dei lavoratori.

Se non sono a posto con la normativa, a seconda della violazione, possono sospendere la mia attività?

Con il nuovo decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 cambiano le modalità di intervento degli enti ispettivi in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
In particolare, in presenza di alcune violazioni sotto indicate, oltre alle relative ammende (inserite tra parentesi), si incorre in:
– immediata sospensione dell’attività lavorativa
– immediata sospensione dei lavoratori dall’attività (resta fermo l’obbligo di corrispondergli retribuzione e relativa contribuzione)
NB: il provvedimento sospensivo rimane attivo fino alla regolarizzazione della violazione riscontrata e al pagamento delle sanzioni previste.

Casi in cui viene sospesa l’attività:

Mancata:
– elaborazione del documento di valutazione dei rischi (+ € 2500)
– elaborazione del Piano di Emergenza ed evacuazione (+ € 2500)
– Mancata costituzione del servizio di prevenzione e protezione e nomina del relativo responsabile (+ € 3000)
– Mancata elaborazione piano operativo di sicurezza-POS (+ € 2500)
– Mancanza di protezioni verso il vuoto (+ € 3000)
– Mancata applicazione delle armature di sostegno, fatte salve le prescrizioni desumibili dalla relazione tecnica di consistenza del terreno (+ € 3000)
– Lavori in prossimità di linee elettriche in assenza di disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere ì lavoratori dai conseguenti rischi (+ € 3000)
– Presenza di conduttori nudi in tensione in assenza di disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere ì lavoratori dai conseguenti rischi (+ € 3000)
– Mancanza protezione contro i contatti diretti ed indiretti {impianto di terra, interruttore magnetotermico, interruttore differenziale) (+ € 3000)
– Omessa vigilanza in ordine alla rimozione o modifica dei dispositivi dì sicurezza o di segnalazione o di controllo (+ € 3000)

Casi in cui viene/vengono sospeso/i il/i lavoratore/i:

– Mancata formazione ed addestramento (+ € 300 a lavoratore)
– Mancata fornitura del dispositivo di protezione individuale contro le cadute dall’alto (+ € 300 a lavoratore)

I lavoratori hanno degli obblighi?

L’articolo 20 del D. Lgs. 81/08 stabilisce che:
1. Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.
2. I lavoratori devono in particolare:
a) contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all’adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;
b) osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale;
c) utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro, le sostanze e le miscele pericolose27, i mezzi di trasporto e, nonché i dispositivi di sicurezza;
d) utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione;
e) segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dei dispositivi di cui alle lettere c) e d), nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell’ambito delle proprie competenze e possibilità e fatto salvo l’obbligo di cui alla lettera
f) per eliminare o ridurre le situazioni di pericolo grave e incombente, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza;f) non rimuovere o modificare senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo;
g) non compiere di propria iniziativa operazioni o manovre che non sono di loro competenza ovvero che possono compromettere la sicurezza propria o di altri lavoratori;
h) partecipare ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di lavoro;
i) sottoporsi ai controlli sanitari previsti dal presente decreto legislativo o comunque disposti dal medico competente.

I lavoratori di aziende che svolgono attività in regime di appalto o subappalto, devono esporre apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro. Tale obbligo grava anche in capo ai lavoratori autonomi che esercitano direttamente la propria attività nel medesimo luogo di lavoro, i quali sono tenuti a provvedervi per proprio conto.

Chi è il preposto?

Il preposto è la persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa.

La figura del preposto è obbligatoria?

L’individuazione di tale figura non è obbligatoria nelle aziende ma rimane una scelta del datore di lavoro in base alla organizzazione ed alla complessità della sua azienda; in particolar modo quando ad esempio il datore di lavoro non è presente in azienda e un dipendente “esperto” porta avanti le direttive di lavoro, oppure nel caso in cui vi siano capi reparto, capi ufficio, etc. che hanno il compito di dirigere le attività di altri dipendenti.
Anche con l’introduzione della legge 251/2021 il preposto rimane , ai sensi dell’articolo 299, un ruolo “di fatto” ma il datore di lavoro deve ora (qualora non l’abbia già fatto) “individuare” chi in concreto svolga la funzione.

Risulta obbligatoria la presenza del preposto in alcuni casi:
– L’articolo 123 del D. Lgs. 81/08 stabilisce che il montaggio e lo smontaggio delle opere provvisionali devono essere eseguiti sotto la diretta sorveglianza di un preposto ai lavori.
– L’articolo 149 del D. Lgs. 81/08 stabilisce che la costruzione, la sistemazione, la trasformazione o lo smantellamento di una paratoia o di un cassone devono essere effettuati soltanto sotto la diretta sorveglianza di un preposto.
– L’articolo 151 del D. Lgs. 81/08 stabilisce che i lavori di demolizione devono procedere con cautela e con ordine, devono essere eseguiti sotto la sorveglianza di un preposto e condotti in maniera da non pregiudicare la stabilità delle strutture portanti o di collegamento e di quelle eventuali adiacenti.

Il preposto deve svolgere un corso di formazione?

Il preposto deve frequentare obbligatoriamente un corso di formazione di 8 ore.
Secondo la legge 251/2021 questo corso deve essere aggiornato ogni 2 anni tramite un corso della durata di 6 ore.

Il preposto ha degli obblighi?

L’articolo 19 del D. Lgs. 81/08 stabilisce che:
In riferimento alle attività indicate all’articolo 3, i preposti, secondo le loro attribuzioni e competenze, devono:
a) sovrintendere e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione e, in caso di persistenza della inosservanza, informare i loro superiori diretti;
b) verificare affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico;
c) richiedere l’osservanza delle misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato e inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa;
d) informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione;
e) astenersi, salvo eccezioni debitamente motivate, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave ed immediato;
f) segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro, delle quali venga a conoscenza sulla base della formazione ricevuta; La legge 215/21 aggiunge un nuovo compito per i preposti: dovrà interrompere, se necessario, l’attività in caso rilevi deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e segnalare le non conformità rilevate.
g) frequentare appositi corsi di formazione secondo quanto previsto dall’articolo 37.

Il preposto è soggetto a sanzioni?

Il D. Lgs. 81/08 stabilisce le sanzioni per il preposto:
– Art. 19, co. 1, lett. a), c), e) ed f): arresto fino a due mesi o ammenda da 491,40 a 1.474,21 euro
– Art. 19, co. 1, lett. b), d) e g): arresto fino a un mese o ammenda da 245,70 a 982,81 euro

Chi è il Responsabile dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS)?

L’articolo 47 del D. Lgs. 81/08 stabilisce che:
Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è istituito a livello territoriale o di comparto, aziendale e di sito produttivo.
In tutte le aziende, o unità produttive, è eletto o designato il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.
Nelle aziende o unità produttive che occupano fino a 15 lavoratori il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è di norma eletto direttamente dai lavoratori al loro interno oppure è individuato per più aziende nell’ambito territoriale o del comparto produttivo.
Nelle aziende o unità produttive con più di 15 lavoratori il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è eletto o designato dai lavoratori nell’ambito delle rappresentanze sindacali in azienda. In assenza di tali rappresentanze, il rappresentante è eletto dai lavoratori della azienda al loro interno.

Il Responsabile dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) deve essere uno solo?

Il numero minimo dei rappresentanti è il seguente:
a) un rappresentante nelle aziende ovvero unità produttive sino a 200 lavoratori;
b) tre rappresentanti nelle aziende ovvero unità produttive da 201 a 1.000 lavoratori;
c) sei rappresentanti in tutte le altre aziende o unità produttive oltre i 1.000 lavoratori.
In tali aziende il numero dei rappresentanti è aumentato nella misura individuata dagli accordi interconfederali o dalla contrattazione collettiva.

Il Responsabile dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) deve svolgere dei corsi?

Il Responsabile dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) deve svolgere un corso di Corso di 32 ore.

Aggiornamento ogni anno:
4 ore fino a 50 dipendenti
8 ore sopra i 50 dipendenti

Quanti addetti alle emergenze sono necessari?

La normativa non stabilisce un numero preciso degli addetti da formare ma prevede che venga sempre garantita la presenza di un addetto adeguatamente formato, tenendo conto anche di malattie, ferie, turni etc.
Nel caso in cui vi siano più sedi di lavoro, oppure cantieri dovrà essere garantita la presenza degli addetti alle emergenze per ognuno di questi.
In virtù di quanto sopra, il numero minimo consigliato è quello di avere due addetti formati all’interno dell’azienda, di ogni sede o di ogni cantiere.

Devo formare un addetto antincendio, quanto dura il corso?

Il corso di addetto antincendio si divide in alcune tipologie sulla base del rischio aziendale, come di seguito elencato:

RISCHIO DI INCENDIO ELEVATO 16 ORE – ATTIVITÀ di LIVELLO 3
Ricadono in tale fattispecie almeno le seguenti attività:
a) stabilimenti di “soglia inferiore” e di “soglia superiore” come definiti all’articolo 3, comma 1, lettere b) e c) del decreto legislativo 26 giugno 2015, n. 105;
b) fabbriche e depositi di esplosivi;
c) centrali termoelettriche;
d) impianti di estrazione di oli minerali e gas combustibili;
e) impianti e laboratori nucleari;
f) depositi al chiuso di materiali combustibili aventi superficie superiore a 20.000 m2 ;
g) attività commerciali ed espositive con superficie aperta al pubblico superiore a 10.000 m2 ;
h) aerostazioni, stazioni ferroviarie, stazioni marittime con superficie coperta accessibile al pubblico superiore a 5.000 m2 ; metropolitane in tutto o in parte sotterranee;
i) interporti con superficie superiore a 20.000 m2 ;
j) alberghi con oltre 200 posti letto;
k) strutture sanitarie che erogano prestazioni in regime di ricovero ospedaliero o residenziale a ciclo continuativo o diurno; case di riposo per anziani;
l) scuole di ogni ordine e grado con oltre 1.000 persone presenti;
m) uffici con oltre 1.000 persone presenti;
n) cantieri temporanei o mobili in sotterraneo per la costruzione, manutenzione e riparazione di gallerie, caverne, pozzi ed opere simili di lunghezza superiore a 50 metri;
o) cantieri temporanei o mobili ove si impiegano esplosivi;
p) stabilimenti ed impianti che effettuano stoccaggio di rifiuti, ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera aa) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, nonché operazioni di trattamento di rifiuti, ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera s) del medesimo decreto legislativo; sono esclusi i rifiuti inerti come definiti dall’articolo 2, comma 1, lettera e) del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36.

RISCHIO DI INCENDIO MEDIO 8 ORE – ATTIVITÀ di LIVELLO 2
Ricadono in tale fattispecie almeno le seguenti attività:
a) i luoghi di lavoro compresi nell’allegato I al decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011, n. 151, con esclusione delle attività di livello 3;
b) i cantieri temporanei e mobili ove si detengono ed impiegano sostanze infiammabili e si fa uso di fiamme libere, esclusi quelli interamente all’aperto.

RISCHIO DI INCENDIO BASSO 4 ORE – ATTIVITÀ di LIVELLO 1
Rientrano in tale categoria di attività quelle non presenti nelle fattispecie indicate ai precedenti punti e dove, in generale, le sostanze presenti e le condizioni di esercizio offrono scarsa possibilità di sviluppo di focolai e ove non sussistono probabilità di propagazione delle fiamme.

Il corso addetto antincendio deve essere aggiornato?

In base al nuovo DECRETO 2 settembre 2021 gli addetti al servizio antincendio frequentano specifici corsi di aggiornamento con cadenza almeno quinquennale.
I corsi, già programmati con i contenuti dell’allegato IX del decreto del Ministro dell’interno di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale del 10 marzo 1998, sono considerati validi se svolti entro sei mesi dall’entrata in vigore del presente decreto.
Il primo aggiornamento degli addetti al servizio antincendio dovrà avvenire entro cinque anni dalla data di svolgimento dell’ultima attività di formazione o aggiornamento.
Se, alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono trascorsi più di cinque anni dalla data di svolgimento delle ultime attività di formazione o aggiornamento, l’obbligo di aggiornamento è ottemperato con la frequenza di un corso di aggiornamento entro dodici mesi dall’entrata in vigore del decreto stesso (2 ottobre 2022).

Le durate dei corsi sono le seguenti:
BASSO: 2 ore
MEDIO: 5 ore
ALTO: 8 ore

Devo formare un addetto primo soccorso, quanto dura il corso?

Il corso di addetto primo soccorso si divide in alcune tipologie sulla base del gruppo di rischio aziendale:

Gruppo A 16 ORE
“Aziende o unità produttive con attività industriali, soggette all’obbligo di dichiarazione o notifica, di cui all’art. 2 del d.lgs. 334/1999, centrali termoelettriche, impianti e laboratori nucleari di cui agli artt. 7, 28 e 33 del d.lgs. 230/1995, aziende estrattive ed altre attività minerarie definite dal d.lgs. 624/1996, lavori in sotterraneo di cui al d.p.r. 320/1956, aziende per la fabbricazione di esplosivi, polveri e munizioni.
Aziende o unità produttive con oltre cinque lavoratori appartenenti o riconducibili ai gruppi tariffari Inail con indice infortunistico di inabilità permanente superiore a quattro, quali desumibili dalle statistiche nazionali Inail relative al triennio precedente ed aggiornate al 31 dicembre di ciascun anno. Le predette statistiche nazionali Inail sono pubblicate nella Gazzetta ufficiale.
Aziende o unità produttive con oltre cinque lavoratori a tempo indeterminato del comparto dell’agricoltura”.

Gruppo B 12 ORE comprende le aziende o unità produttive con tre o più lavoratori che non rientrano nel gruppo A

Gruppo C 12 ORE per le aziende o unità produttive con meno di tre lavoratori che non rientrano nel gruppo A

Il corso addetto primo soccorso deve essere aggiornato?

Vige l’obbligo di aggiornamento del corso di primo soccorso, da effettuarsi ogni 3 anni, con durate dei corsi come di seguito elencate:
– Gruppo A 6 ORE
– Gruppo B,C 4 ORE

Per utilizzare un’attrezzatura/mezzo bisogna svolgere un corso di formazione?

Vige l’obbligo di effettuare il corso di formazione per tutte le persone che utilizzano attrezzature/mezzi.
Per l’utilizzo di attrezzature la formazione è disciplinata da D. Lgs. 81/08 e Accordo Stato/Regioni del 22 febbraio 2012.
Tutti i seguenti corsi di formazione hanno una validità quinquennale con durata come riportato di seguito ed un aggiornamento per tutte le tipologie di: 1 ora di Teoria, 3 ore di Pratica

Formazione per addetti all’utilizzo di Piattaforme
– senza stabilizzatori Ore corso: 4 Teoria, 4 Pratica
– con stabilizzatori Ore corso: 4 Teoria, 4 Pratica
– Con e senza stabilizzatori Ore corso: 4 Teoria, 6 Pratica

Formazione per addetti all’utilizzo di Carrelli industriali
– semoventi Ore corso: 8 Teoria, 4 Pratica
– semoventi a braccio telescopico Ore corso: 8 Teoria, 4 Pratica
– sollevatori elevatori semoventi, telescopici, rotativi Ore corso: 8 Teoria, 4 Pratica
– industriali, semoventi, a braccio telescopico, telescopico rotativi Ore corso: 8 Teoria, 8 Pratica

Formazione per addetti all’utilizzo di Gru mobili Ore corso: 7 Teoria, 7 Pratica
Addetti all’utilizzo di Gru mobili con falcone telescopico o brandeggiabile Ore corso: 11 Teoria, 11 Pratica

Formazione per addetti all’utilizzo di Gru su autocarro Ore corso: 4 Teoria, 8 Pratica

Formazione per addetti all’utilizzo di Gru a torre
– con rotazione in basso Ore corso: 8 Teoria, 4 Pratica
– rotazione in alto Ore corso: 8 Teoria, 4 Pratica
– con rotazione in alto e in basso Ore corso: 8 Teoria, 6 Pratica

Formazione per addetti all’utilizzo di Pompe calcestruzzo Ore corso: 4 Teoria, 12 Pratica

Formazione per addetti all’utilizzo di Trattori agricoli o forestali
– a ruote Ore corso: 3 Teoria, 5 Pratica
– a cingoli Ore corso: 3 Teoria, 5 Pratica

Formazione per addetti all’utilizzo di macchine movimento terra
– Escavatori idraulici Ore corso: 3 Teoria, 5 Pratica
– Escavatori a fune Ore corso: 4 Teoria, 6 Pratica
– Pale caricatrici frontali Ore corso: 4 Teoria, 6 Pratica
– Terne Ore corso: 4 Teoria, 6 Pratica
– Autoribaltabili a cingoli Ore corso: 4 Teoria, 6 Pratica
– Escavatori idraulici, Caricatori frontali,
– Terne Ore corso: 4 Teoria, 6 Pratica

Formazione per:
– tecnici addetti ai lavori elettrici PES PAV PEI Ore corso: 16 Teoria
– l’accesso e il lavoro in sospensione in siti naturali o artificiali Ore corso: 12 Teoria, 20 Pratica
– addetti a lavoro su fune per l’accesso e l’attività lavorativa su alberi Ore corso: 12 Teoria, 20 Pratica

Formazione per addetti all’utilizzo di Carroponti, Gru a cavalletto, Paranchi Ore corso: 8 Teoria, 4 Pratica:

Faq – Domande frequenti Legionella

Cos’è la legionella?

La Legionella è un genere di batteri gram-negativi aerobi, è un batterio invisibile ad occhio nudo, del tutto naturale ed ampiamente diffuso in sorgenti d’acqua, ma anche in impianti idrici (alberghi, ospedali, hotel, etc.), impianti di condizionamento dell’aria, stabilimenti termali e piscine. Il genere Legionella comprende 61 diverse specie (sottospecie incluse) e circa 70 sierogruppi. Non tutte le specie sono state associate a casi di malattia nell’uomo. Legionella pneumophila è la specie più frequentemente rilevata nei casi diagnosticati ed è causa del 95% delle infezioni in Europa e dell’85% nel mondo.

Dove si può trovare e può proliferare la legionella?

La legionella prolifera nelle tubazioni dell’acqua calda, in particolare nelle tubazioni soggette a ricircolo sanitario. In queste condutture le temperature di massimo 42-43°C per cui risulta l’ambiente ideale per la crescita dei batteri. Si possono sviluppare colonie di legionella anche nei rami morti e negli utilizzatori con problemi di sporco e calcare.

In quali casi può proliferare la legionella?

Gli impianti d’acqua sono a rischio se:
– la temperatura è regolata troppo bassa
– la circolazione nei tubi è insufficiente
– i tubi di scarico sono troppo lunghi
– l’impianto ha perdite di calore
– i termometri funzionano male
– le pompe funzionano male

Chi può essere a rischio legionellosi?

Chiunque può contrarre la legionellosi.
I principali fattori di rischio sono:
– sesso maschile
– età avanzata
– consumo di alcool
– fumo di sigaretta
– patologie croniche del polmone
– patologie che causano immunodepressione (ad esempio: tumori, diabete, HIV, etc.)
– farmaci che causano immunodepressione (ad esempio cortisonici, etc.)

Come può avvenire il contagio?

Il contagio da legionella avviene inalando acqua contaminata sotto forma di “aerosol”.
Il rischio proveniente ad esempio da rubinetti, dalle docce, dagli impianti di condizionamento, etc.
La legionellosi non si trasmette da persona a persona.

Quali sono i sintomi della malattia?

I sintomi più frequenti della malattia dei Legionari sono:
febbre
raffreddore
tosse
polmonite
mal di testa
dolori muscolari
astenia
perdita d’appetito
occasionalmente diarrea e disturbi renali

La Febbre di Pontiac si presenta sotto forma di:
febbre
brividi
mal di testa
malessere generale

Chi deve effettuare le analisi legionella?

La valutazione di rischio biologico e la relativa analisi legionella rappresenta un obbligo di legge per tutte quelle aziende riportate all’interno delle Linee guida per la prevenzione ed il controllo della legionellosi approvato in Conferenza Stato-Regioni, nella seduta del 7 maggio 2015 ovvero: Strutture turistico ricettive (alberghi, case vacanze, B&B, villaggi turistici, campeggi, beauty farm, etc);
Strutture sanitarie (Ospedali, centri medici, studi odontoiatrici, etc);
Stabilimenti termali

Cosa devo fare per essere a posto con la legionella?

Per essere a posto con il rischio legionella bisogna effettuare oltre ai campionamenti ed alle analisi per verificare la presenza di legionella, bisogna redigere il documento di valutazione del rischio da legionella con relativo piano di gestione e controllo e le linee guida da seguire.

Nella mia attività è stata trovata della legionella, cosa devo fare?

In caso di presenza di legionella bisogna effettuare una bonifica degli impianti. Le linee guida indicano che in caso di bonifica è importante sanificare i rami morti.
Le metodologie più diffuse sono:
lo shock termico: si fa circolare l’acqua ad una temperatura sopra i 60°C in tutto l’impianto idraulico.
l’iper clorazione: l’impianto viene saturato di una soluzione concentrata di cloro, successivamente viene effettuato un lavaggio per eliminarne i residui.
Altre tipologie di interventi possono essere svolti e dovranno essere valutati a seconda del caso specifico.

Faq – Domande frequenti Piscine

Le piscine sono soggette a normativa?

Le piscine sono regolamentate da alcune normative regionali, che prevedono le tipologie di piscine, i requisiti strutturali, gestionali, tecnici ed igienico-ambientali delle piscine e il limite massimo degli utenti ammessi nell’impianto, i requisiti fisici, chimico-fisici, chimici e microbiologici delle acque di vasca, etc.
Ad esempio per la regione Toscana vi sono le seguenti normative:
Regolamento 54/R/2015 approvato con D.P.G.R. del 20 maggio 2015 che va a sostituire il previgente Reg. 23/R del 2010, a sua volta emanato in luogo della L.R. 8/2006.

Come sono classificate le piscine?

Le piscine, in base alla loro destinazione, si distinguono nelle seguenti categorie:
A) piscine, di proprietà pubblica o privata, destinate ad un’utenza pubblica, a loro volta si distinguono in:
1) piscine pubbliche, private aperte al pubblico;
2) piscine private ad uso collettivo: sono quelle inserite in strutture adibite, in via principale, ad altre attività ricettive come alberghi, campeggi, strutture agrituristiche e simili, nonché quelle al servizio di collettività, palestre o simili, accessibili ai soli ospiti, clienti, soci della struttura stessa e agli utenti delle relative attività aperte al pubblico da essa esercitate
3) impianti finalizzati al gioco acquatico.
B) piscine facenti parte di condomini e destinate esclusivamente all’uso privato degli aventi titolo e dei loro ospiti ai sensi degli articoli 1117 e seguenti del codice civile.

Ai fini igienico-sanitari, le piscine, oltre che in base al criterio della destinazione di cui al comma 1, si distinguono in base alle caratteristiche strutturali, ambientali ed in base alla loro utilizzazione come previsto nel regolamento regionale.

Ho una piscina, devo avere delle figure particolari?

Nel caso in cui si abbia una piscina tra quelle elencate nella normativa all’interno dello staff devono essere sempre assegnati i seguenti ruoli:
Responsabile della piscina
Addetto agli impianti tecnologici
Le due figure possono essere ricoperte da una stessa persona.

Cosa serve per essere responsabile piscina e/o addetto agli impianti tecnologici?

Il responsabile della piscina deve aver conseguito il diploma di laurea in tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro.
L’addetto agli impianti tecnologici deve aver conseguito uno dei seguenti titoli:
a) qualifica triennale ovvero diploma di istruzione quinquennale rilasciati da istituti tecnicoprofessionali e istituti tecnici industriali (indirizzo chimico, meccanico, elettrico, termico, idraulico);
b) qualifica professionale conseguita nell’ambito del sistema regionale della formazione professionale e attinente agli indirizzi di cui alla lettera a);
c) diploma di laurea attinente agli indirizzi di cui alla lettera a).
Coloro che non sono in possesso dei titoli indicati sopra esercitano rispettivamente le funzioni di responsabile della piscina e di addetto agli impianti tecnologici sulla base di competenze tecniche specifiche acquisite mediante la partecipazione a distinti corsi di formazione.

Esistono dei corsi per responsabile piscina e/o addetto agli impianti tecnologici?

I corsi di formazione per essere abilitati allo svolgimento dei compiti sono i seguenti:
– Corso responsabile della piscina e addetto agli impianti tecnologici è un corso di 38 ore con aggiornamento di 10 ore ogni 5 anni.
– Corso responsabile della piscina è un corso di 30 ore con aggiornamento di 10 ore ogni 5 anni.

Ho il corso di responsabile piscina e/o addetto agli impianti tecnologici, sono a posto?

No, bisogna redigere un documento di valutazione dei rischi in cui è considerata ogni fase che potrebbe rivelarsi critica nella gestione dell’attività con relativo manuale di autocontrollo con protocolli di gestione inerenti i controlli da svolgere e il regolamento della piscina che deve essere esposto.
Devono essere svolte anche delle analisi delle acque:
Le analisi devono essere effettuate nel seguente modo: acqua di approvvigionamento: analisi dell’acqua che esce dalla tubatura che convoglia il liquido;
controllo delle acque a valle dell’impianto preposto al trattamento dell’acqua;
acqua della vasca: analisi del campione raccolto in un punto qualsiasi della vasca della piscina.

Il bagnino è obbligatorio in piscina?

In Toscana la presenza di assistenti ai bagnanti a bordo vasca in numero proporzionato al numero e alle caratteristiche delle vasche e al numero dei bagnanti, secondo quanto stabilito dal regolamento regionale di cui all’ articolo 5, deve essere assicurata in modo continuativo durante tutto l’orario di funzionamento della piscina.

Per le piscine private ad uso collettivo di cui all’ articolo 3 , comma 1, lettera a), numero 2) (piscine private ad uso collettivo: sono quelle inserite in strutture adibite, in via principale, ad altre attività ricettive come alberghi, campeggi, strutture agrituristiche e simili, nonché quelle al servizio di collettività, palestre o simili, accessibili ai soli ospiti, clienti, soci della struttura stessa e agli utenti delle relative attività aperte al pubblico da essa esercitate), a disposizione esclusiva degli ospiti della struttura, non è obbligatoria la presenza dell’assistente ai bagnanti.

Per quanto riguarda le piscine ad uso collettivo ove non sia prevista la presenza dell’assistente ai bagnanti, il responsabile della piscina informa adeguatamente gli utenti circa l’assenza dell’assistenza ai bagnanti ed attrezza l’area della piscina di adeguate protezioni nel rispetto del divieto di accesso incontrollato nei confronti dei minori di anni quattordici al fine di salvaguardarne l’incolumità.
Mentre per le piscine di cui all’articolo 3, comma 1, lettera a), numero 2), tali protezioni possono essere costituite anche da siepi vegetative o da adeguati sistemi di allarme certificati.

In Liguria non è obbligatorio il bagnino se:
– Superficie piscina <100 mq
– Profondità acqua <140 cm – con almeno 2 lati liberi da ostacoli
– con divieto di accesso ai minori di 12 anni non accompagnati
– con vigilanza adeguata, anche con sistemi di controllo da postazione presidiata
– presenza di personale formato al pronto soccorso prontamente disponibile.
Sono inoltre esclusi: -agriturismi (con limitazioni) e “strutture ricettive che consentano bagni elioterapici mediante l’uso di solarium posti nei pressi della vasca di piscina”.

Non sono ancora a posto con quanto previsto dalla normativa, rischio qualcosa?

La normativa prevede una serie sanzioni:
– I titolari delle piscine di cui all’ articolo 3, comma 1, lettera a), che esercitano l’attività senza l’autorizzazione di cui all’ articolo 13, o senza la SCIA di cui all’ articolo 14, sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 500,00 a euro 6.000,00. La sanzione comporta l’immediata chiusura dell’impianto.
– I responsabili delle piscine di cui all’articolo 3, comma 1, lettera a), prive della documentazione relativa al funzionamento e all’autocontrollo di cui all’articolo 16, commi 2 e 3, sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 500,00 a euro 3.000,00. La sanzione comporta l’immediata chiusura dell’impianto.
Salvo quanto previsto dall’articolo 5, comma 1 bis)
– I responsabili delle piscine di cui all’ articolo 3, comma 1, lettera a):
che sono prive dei requisiti strutturali, gestionali, tecnici e igienico-ambientali dell’impianto piscina indicati nel regolamento regionale di cui all’ articolo 5 sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 500,00 a euro 3.000,00.
prive dei requisiti fisici, chimico-fisici, chimici e microbiologici delle acque di vasca indicati nel regolamento regionale di cui all’articolo 5, sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 500,00 a euro 3.000,00, nel caso in cui non si adempia nei termini indicati alle prescrizioni impartite dall’azienda USL.
che sono prive del personale di assistenza ai bagnanti durante l’orario di apertura ai sensi dell’articolo 12, comma 4, sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 500,00 a euro 3.000,00; tale sanzione non si applica alle piscine di cui all’ articolo 3, comma 1, lettera a),
– Sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento al comune in cui ha sede l’impianto di una somma da euro 200,00 a euro 1.200,00, nei seguenti casi:
mancato svuotamento dell’acqua delle piscine ai sensi dell’articolo 9, comma 7;
mancata esposizione del regolamento della piscina di cui all’articolo 10;
presenza di bagnanti in numero superiore alla capienza massima della piscina indicata nel regolamento interno di cui all’articolo 10. Ferma restando l’adozione da parte dell’autorità sanitaria di provvedimenti contingibili ed urgenti che si rendessero necessari a tutela della salute pubblica, nel caso in cui sia applicata la sanzione amministrativa di cui ai commi 3, 4 e 5, il comune dispone la sospensione dell’attività per un periodo da tre a trenta giorni.

Faq – Domande frequenti Appalti

Cosa si intende per appalto?

L’art.1655 del Codice Civile stabilisce che: “L’appalto è il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”.
I contratti di appalto sono stipulati da un soggetto (committente) e da un altro soggetto (appaltatore), quest’ultimo si obbliga nei confronti del committente a compiere un’opera o un servizio, con propria organizzazione di mezzi e con gestione a proprio rischio.

Chi è il committente?

Il committente è il soggetto per conto del quale l’intera opera viene realizzata, indipendentemente da eventuali frazionamenti della sua realizzazione.
Nel caso di appalto di opera pubblica, il committente è il soggetto titolare del potere decisionale e di spesa relativo alla gestione dell’appalto.

Chi è il responsabile dei lavori?

Il responsabile dei lavori è il soggetto che può essere incaricato dal committente per svolgere i compiti ad esso attribuiti dal presente decreto.

Quali sono i compiti e obblighi del committente o del responsabile dei lavori?

1. Il committente o il responsabile dei lavori, nelle fasi di progettazione dell’opera, si attiene ai principi e alle misure generali di tutela, in particolare:
al momento delle scelte architettoniche, tecniche ed organizzative, onde pianificare i vari lavori o fasi di lavoro che si svolgeranno simultaneamente o successivamente;
all’atto della previsione della durata di realizzazione di questi vari lavori o fasi di lavoro.
1-bis. Per i lavori pubblici l’attuazione di quanto previsto al comma 1 avviene nel rispetto dei compiti attribuiti al responsabile del procedimento e al progettista.
2. Il committente o il responsabile dei lavori, nella fase della progettazione dell’opera, prende in considerazione i documenti (PSC e fascicolo).
3. Nei cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese esecutrici, anche non contemporanea, il committente, anche nei casi di coincidenza con l’impresa esecutrice, o il responsabile dei lavori, contestualmente all’affidamento dell’incarico di progettazione, designa il coordinatore per la progettazione.
4. Nei cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese esecutrici, anche non contemporanea, il committente o il responsabile dei lavori, prima dell’affidamento dei lavori, designa il coordinatore per l’esecuzione dei lavori.
5. La disposizione di cui al comma 4 si applica anche nel caso in cui, dopo l’affidamento dei lavori a un’unica impresa, l’esecuzione dei lavori o di parte di essi sia affidata a una o più imprese.
6. Il committente o il responsabile dei lavori, qualora in possesso dei requisiti, ha facoltà di svolgere le funzioni sia di coordinatore per la progettazione sia di coordinatore per l’esecuzione dei lavori.
7. Il committente o il responsabile dei lavori comunica alle imprese affidatarie, alle imprese esecutrici e ai lavoratori autonomi il nominativo del coordinatore per la progettazione e quello del coordinatore per l’esecuzione dei lavori. Tali nominativi sono indicati nel cartello di cantiere.
8. Il committente o il responsabile dei lavori ha facoltà di sostituire in qualsiasi momento, anche personalmente, se in possesso dei requisiti, i soggetti designati in attuazione dei commi 3 e 4.
9. Il committente o il responsabile dei lavori, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un’unica impresa o ad un lavoratore autonomo: verifica l’idoneità tecnico-professionale delle imprese affidatarie, delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi in relazione alle funzioni o ai lavori da affidare, con le modalità di cui all’ALLEGATO XVII.
Nei cantieri la cui entità presunta è inferiore a 200 uomini-giorno e i cui lavori non comportano rischi particolari di cui all’allegato XI, il requisito di cui al periodo che precede si considera soddisfatto mediante presentazione da parte delle imprese e dei lavoratori autonomi del certificato di iscrizione alla Camera di commercio, industria e artigianato e del documento unico di regolarità contributiva, corredato da autocertificazione in ordine al possesso degli altri requisiti previsti dall’ALLEGATO XVII; chiede alle imprese esecutrici una dichiarazione dell’organico medio annuo, distinto per qualifica, corredata dagli estremi delle denunce dei lavoratori effettuate all’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), all’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (INAIL) e alle casse edili, nonché una dichiarazione relativa al contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, applicato ai lavoratori dipendenti.
Nei cantieri la cui entità presunta è inferiore a 200 uomini-giorno e i cui lavori non comportano rischi particolari di cui all’ALLEGATO XI, il requisito di cui al periodo che precede si considera soddisfatto mediante presentazione da parte delle imprese del documento unico di regolarità contributiva, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 16-bis, comma 10, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e dell’autocertificazione relativa al contratto collettivo applicato.
Trasmette all’amministrazione concedente, prima dell’inizio dei lavori oggetto del permesso di costruire o della denuncia di inizio attività, copia della notifica preliminare di cui all’articolo 99, il documento unico di regolarità contributiva delle imprese e dei lavoratori autonomi, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 16-bis, comma 10, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e una dichiarazione attestante l’avvenuta verifica della ulteriore documentazione di cui alle lettere a) e b).
10. In assenza del piano di sicurezza e di coordinamento o del fascicolo, quando previsti, oppure in assenza di notifica, quando prevista oppure in assenza del documento unico di regolarità contributiva delle imprese o dei lavoratori autonomi, è sospesa l’efficacia del titolo abilitativo. L’organo di vigilanza comunica l’inadempienza all’amministrazione concedente.
11. La disposizione di cui al comma 3 non si applica ai lavori privati non soggetti a permesso di costruire in base alla normativa vigente e comunque di importo inferiore ad euro 100.000. In tal caso, le funzioni del coordinatore per la progettazione sono svolte dal coordinatore per la esecuzione dei lavori.

Chi è l’impresa affidataria?

L’impresa affidataria è l’impresa titolare del contratto di appalto con il committente che, nell’esecuzione dell’opera appaltata, può avvalersi di imprese subappaltatrici o di lavoratori autonomi.
Nel caso in cui titolare del contratto di appalto sia un consorzio tra imprese che svolga la funzione di promuovere la partecipazione delle imprese aderenti agli appalti pubblici o privati, anche privo di personale deputato alla esecuzione dei lavori, l’impresa affidataria è l’impresa consorziata assegnataria dei lavori oggetto del contratto di appalto individuata dal consorzio nell’atto di assegnazione dei lavori comunicato al committente o, in caso di pluralità di imprese consorziate assegnatarie di lavori, quella indicata nell’atto di assegnazione dei lavori come affidataria, sempre che abbia espressamente accettato tale individuazione.

Quali sono i compiti e obblighi del datore di lavoro dell’impresa affidataria?

L’articolo 97 del D.Lgs. 81/08 stabilisce che:
1. Il datore di lavoro dell’impresa affidataria verifica le condizioni di sicurezza dei lavori affidati e l’applicazione delle disposizioni e delle prescrizioni del piano di sicurezza e coordinamento.
2. Gli obblighi derivanti dall’articolo 26, fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 96, comma 2, sono riferiti anche al datore di lavoro dell’impresa affidataria. Per la verifica dell’idoneità tecnico professionale si fa riferimento alle modalità di cui all’ALLEGATO XVII.
3. Il datore di lavoro dell’impresa affidataria deve, inoltre:
coordinare gli interventi di cui agli articoli 95 e 96;
verificare la congruenza dei piani operativi di sicurezza (POS) delle imprese esecutrici rispetto al proprio, prima della trasmissione dei suddetti piani operativi di sicurezza al coordinatore per l’esecuzione.
3-bis. In relazione ai lavori affidati in subappalto, ove gli apprestamenti, gli impianti e le altre attività di cui al punto 4 dell’allegato XV siano effettuati dalle imprese esecutrici, l’impresa affidataria corrisponde ad esse senza alcun ribasso i relativi oneri della sicurezza. 3-ter) Per lo svolgimento delle attività di cui al presente articolo, il datore di lavoro dell’impresa affidataria, i dirigenti e i preposti devono essere in possesso di adeguata formazione.

Chi è l’impresa esecutrice?

L’impresa esecutrice è l’impresa che esegue un’opera o parte di essa impegnando proprie risorse umane e materiali.

Quali sono i compiti e obblighi del datore di lavoro dell’impresa esecutrice?

L’articolo 96 del D. Lgs. 81/08 stabilisce che:
1. I datori di lavoro delle imprese affidatarie e delle imprese esecutrici, anche nel caso in cui nel cantiere operi una unica impresa, anche familiare o con meno di dieci addetti:

adottano le misure conformi alle prescrizioni di cui all’ALLEGATO XIII;
predispongono l’accesso e la recinzione del cantiere con modalità chiaramente visibili e individuabili;
curano la disposizione o l’accatastamento di materiali o attrezzature in modo da evitarne il crollo o il ribaltamento;
la protezione dei lavoratori contro le influenze atmosferiche che possono compromettere la loro sicurezza e la loro salute;
curano le condizioni di rimozione dei materiali pericolosi, previo, se del caso, coordinamento con il committente o il responsabile dei lavori;
verificano che lo stoccaggio e l’evacuazione dei detriti e delle macerie avvengano correttamente;
redigono il piano operativo di sicurezza.
1-bis. La previsione di cui al comma 1, lettera g), non si applica alle mere forniture di materiali o attrezzature. In tali casi trovano comunque applicazione le disposizioni di cui all’articolo 26.
2. L’accettazione da parte di ciascun datore di lavoro delle imprese del piano di sicurezza e di coordinamento, nonché la redazione del piano operativo di sicurezza costituiscono, limitatamente al singolo cantiere interessato, adempimento alle disposizioni.

Chi è il lavoratore autonomo?

Il lavoratore autonomo è la persona fisica la cui attività professionale contribuisce alla realizzazione dell’opera senza vincolo di subordinazione.

Quali sono i compiti e obblighi dei lavoratori autonomi?

L’articolo 94 del D. Lgs. 81/08 stabilisce che:
I lavoratori autonomi che esercitano la propria attività nei cantieri, fermo restando gli obblighi di cui al presente decreto legislativo, si adeguano alle indicazioni fornite dal coordinatore per l’esecuzione dei lavori, ai fini della sicurezza.

Chi sono il CSP e CSE?

Il coordinatore della sicurezza è la figura incaricata dal committente o dal responsabile dei lavori per garantire il coordinamento tra le imprese che effettuano le lavorazioni, al fine di ridurre i rischi.
Esistono due tipi di coordinatore:
1. Il (CSP) coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione.
2. Il (CSE) coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione.

Il ruolo di CSP e CSE può essere svolto dalla stessa persona o da persone diverse.

Quali sono i requisiti per svolgere i compiti da coordinatore (CSP e CSE)?

L’art. 98 del D. Lgs. 81/08 stabilisce che:
Il coordinatore per la progettazione e il coordinatore per l’esecuzione dei lavori devono essere in possesso di uno dei seguenti requisiti:
a) laurea magistrale ovvero corrispondente diploma di laurea, nonché attestazione, da parte di datori di lavoro o committenti, comprovante l’espletamento di attività lavorativa nel settore delle costruzioni per almeno un anno o due anni a seconda del tipo di laurea;
b) diploma di geometra o perito industriale o perito agrario o agrotecnico, nonché attestazione, da parte di datori di lavoro o committenti, comprovante l’espletamento di attività lavorativa nel settore delle costruzioni per almeno tre anni.

Devono essere, altresì, in possesso di attestato di frequenza, con verifica dell’apprendimento finale, a specifico corso in materia di sicurezza organizzato dalle regioni, mediante le strutture tecniche operanti nel settore della prevenzione e della formazione professionale, o, in via alternativa, dall’ISPESL, dall’INAIL, dall’Istituto italiano di medicina sociale, dagli ordini o collegi professionali, dalle università, dalle associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori o dagli organismi paritetici istituiti nel settore dell’edilizia. Fermo restando l’obbligo di aggiornamento di cui all’allegato XIV, sono fatti salvi gli attestati rilasciati nel rispetto della previgente normativa a conclusione di corsi avviati prima della data di entrata in vigore del presente decreto.

L’attestato non è richiesto per coloro che, non più in servizio, abbiano svolto attività tecnica in materia di sicurezza nelle costruzioni, per almeno cinque anni, in qualità di pubblici ufficiali o di incaricati di pubblico servizio e per coloro che producano un certificato universitario attestante il superamento di un esame relativo ad uno specifico insegnamento del corso di laurea nel cui programma siano presenti i contenuti minimi di cui all’ALLEGATO XIV, o l’attestato di partecipazione ad un corso di perfezionamento universitario i cui programmi e le relative modalità di svolgimento siano conformi all’allegato XIV.

L’attestato non è richiesto per coloro che sono in possesso della laurea in Ingegneria della Sicurezza.

Quando deve essere nominato il CSP?

Nei cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese esecutrici, anche non contemporanea, il committente, anche nei casi di coincidenza con l’impresa esecutrice, o il responsabile dei lavori, contestualmente all’affidamento dell’incarico di progettazione, designa il coordinatore per la progettazione.

Quali sono i compiti e obblighi del CSP?

L’art. 91 del D.Lgs. 81/08 stabilisce che:
Durante la progettazione dell’opera e comunque prima della richiesta di presentazione delle offerte, il coordinatore per la progettazione:
a) redige il piano di sicurezza e di coordinamento;
b) predispone un fascicolo adattato alle caratteristiche dell’opera (contenente informazioni utili ai fini della prevenzione e protezione dai rischi), il fascicolo non è predisposto nel caso di lavori di manutenzione ordinaria.

Quando deve essere nominato il CSE?

Nei cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese esecutrici, anche non contemporanea, il committente o il responsabile dei lavori, prima dell’affidamento dei lavori, designa il coordinatore per l’esecuzione dei lavori.

Quali sono i compiti e obblighi del CSE?

L’articolo 92 del D.Lgs. 81/08 stabilisce che:
Durante la realizzazione dell’opera, il coordinatore per l’esecuzione dei lavori:
a) verifica, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l’applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro;
b) verifica l’idoneità del piano operativo di sicurezza, complementare di dettaglio delpiano di sicurezza e coordinamento, assicurandone la coerenza con quest’ultimo;
c) organizza tra i datori di lavoro, ivi compresi i lavoratori autonomi, la cooperazione ed il coordinamento delle attività nonché la loro reciproca informazione;
d) verifica l’attuazione di quanto previsto negli accordi tra le parti sociali al fine di realizzare il coordinamento tra i rappresentanti della sicurezza finalizzato al miglioramento della sicurezza in cantiere;
e) segnala al committente o al responsabile dei lavori, previa contestazione scritta alle imprese e ai lavoratori autonomi interessati, le inosservanze, e propone la sospensione dei lavori, l’allontanamento delle imprese o dei lavoratori autonomi dal cantiere, o la risoluzione del contratto.
f) sospende, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate.

Quali documenti devono essere richiesti in caso di appalto?

L’allegato XVII del D.Lgs. 81/08 stabilisce che:
1. Ai fini della verifica dell’idoneità tecnico professionale le imprese, le imprese esecutrici nonché le imprese affidatarie, ove utilizzino anche proprio personale, macchine o attrezzature per l’esecuzione dell’opera appaltata, dovranno esibire al committente o al responsabile dei lavori almeno:
iscrizione alla camera di commercio, industria ed artigianato con oggetto sociale inerente alla tipologia dell’appalto:
documento di valutazione dei rischi di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a) o autocertificazione di cui all’articolo 29, comma 5, del presente decreto legislativo;
documento unico di regolarità contributiva di cui al decreto ministeriale 24 ottobre 2007;
dichiarazione di non essere oggetto di provvedimenti di sospensione o interdittivi di cui all’articolo 14 del presente decreto legislativo.
2. I lavoratori autonomi dovranno esibire almeno:
iscrizione alla camera di commercio, industria ed artigianato con oggetto sociale inerente alla tipologia dell’appalto;
specifica documentazione attestante la conformità alle disposizioni di cui al presente decreto legislativo di macchine, attrezzature e opere provvisionali;
elenco dei dispositivi di protezione individuali in dotazione;
attestati inerenti la propria formazione e la relativa idoneità sanitaria ove espressamente previsti dal presente decreto legislativo;
documento unico di regolarità contributiva di cui al decreto ministeriale 24 ottobre 2007.
3. In caso di subappalto il datore di lavoro dell’impresa affidataria verifica l’idoneità tecnico professionale dei sub appaltatori con gli stessi criteri di cui al precedente punto 1 e dei lavoratori autonomi con gli stessi criteri di cui al precedente punto 2.

Cos’è la notifica preliminare?

La notifica preliminare è un documento contenente tutti i dati del cantiere. La notifica preliminare è necessaria per una serie di lavorazioni come ad esempio:lavori di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione, ristrutturazione, lavori edili o di ingegneria civile, lavori di costruzione edile o di ingegneria civile, gli scavi ed il montaggio e lo smontaggio di elementi prefabbricati, etc.

Quando deve essere effettuata la notifica preliminare?

L’articolo 99 del D. Lgs. 81/08 stabilisce che:
1. Il committente o il responsabile dei lavori, prima dell’inizio dei lavori, trasmette all’Azienda Unità Sanitaria Locale e alla Direzione Provinciale del Lavoro nonchè, limitatamente ai lavori pubblici, al prefetto territorialmente competenti la notifica preliminare elaborata conformemente all’ALLEGATO XII, nonché gli eventuali aggiornamenti nei seguenti casi:
cantieri in cui:
– è prevista la presenza di più imprese esecutrici, anche non contemporanea;
– che, inizialmente non soggetti all’obbligo di notifica, ricadono nelle categorie di cui alla lettera a) per effetto di varianti sopravvenute in corso d’opera;
– in cui opera un’unica impresa la cui entità presunta di lavoro non sia inferiore a duecento uomini/giorno.
2. Copia della notifica deve essere affissa in maniera visibile presso il cantiere e custodita a disposizione dell’organo di vigilanza territorialmente competente.
3. Gli organismi paritetici istituiti nel settore delle costruzioni in attuazione dell’articolo 51 possono chiedere copia dei dati relativi alle notifiche preliminari presso gli organi di vigilanza.

Cos’è il POS?

Il piano operativo di sicurezza (POS) è un documento, in cui devono essere riportate le informazioni relative al cantiere di lavoro in cui si svolgono le lavorazioni e devono essere valutati tutti i rischi a cui sono soggetti i lavoratori dell’impresa.

Quando è necessario produrre il POS?

Il piano operativo di sicurezza (POS) deve essere sempre redatto da tutte le imprese che entrano in un cantiere per svolgere la propria attività lavorativa ed è un documento che deve essere sempre presente in cantiere.

Quali sono i contenuti del POS?

L’allegato XV del D.Lgs. 81/08 stabilisce i contenuti minimi del piano operativo di sicurezza:
a) i dati identificativi dell’impresa esecutrice, che comprendono:
il nominativo del datore di lavoro, gli indirizzi ed i riferimenti telefonici della sede legale e degli uffici di cantiere; :
la specifica attività e le singole lavorazioni svolte in cantiere dall’impresa esecutrice e dai lavoratori autonomi subaffidatari; :
i nominativi degli addetti al pronto soccorso, antincendio ed evacuazione dei lavoratori e, comunque, alla gestione delle emergenze in cantiere, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, aziendale o territoriale, ove eletto o designato; :
il nominativo del medico competente ove previsto; :
il nominativo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione; :
i nominativi del direttore tecnico di cantiere e del capocantiere; :
il numero e le relative qualifiche dei lavoratori dipendenti dell’impresa esecutrice e dei lavoratori autonomi operanti in cantiere per conto della stessa impresa;
b) le specifiche mansioni, inerenti la sicurezza, svolte in cantiere da ogni figura nominata allo scopo dall’impresa esecutrice;
c) la descrizione dell’attività di cantiere, delle modalità organizzative e dei turni di lavoro;
d) l’elenco dei ponteggi, dei ponti su ruote a torre e di altre opere provvisionali di notevole importanza, delle macchine e degli impianti utilizzati nel cantiere;
e) l’elenco delle sostanze e miscele pericolose21 utilizzate nel cantiere con le relative schede di sicurezza;
f) l’esito del rapporto di valutazione del rumore;
g) l’individuazione delle misure preventive e protettive, integrative rispetto a quelle contenute nel PSC quando previsto, adottate in relazione ai rischi connessi alle proprie lavorazioni in cantiere;
h) le procedure complementari e di dettaglio, richieste dal PSC quando previsto;
i) l’elenco dei dispositivi di protezione individuale forniti ai lavoratori occupati in cantiere;
l) la documentazione in merito all’informazione ed alla formazione fornite ai lavoratori occupati in cantiere.

Cos’è il PSC?

L’art. 100 del D.Lgs. 81/08 definisce il PSC (Piano di sicurezza e coordinamento).
Il piano è costituito da una relazione tecnica e prescrizioni correlate alla complessità dell’opera da realizzare ed alle eventuali fasi critiche del processo di costruzione, atte a prevenire o ridurre i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi i rischi particolari di cui all’ALLEGATO XI, con specifico riferimento ai rischi derivanti dal possibile rinvenimento di ordigni bellici inesplosi nei cantieri interessati da attività di scavo, nonché la stima dei costi di cui al punto 4 dell’ALLEGATO XV.
Il PSC piano di sicurezza e coordinamento è corredato da tavole esplicative di progetto, relative agli aspetti della sicurezza, comprendenti almeno una planimetria sull’organizzazione del cantiere e, ove la particolarità dell’opera lo richieda, una tavola tecnica sugli scavi.
Il piano di sicurezza e coordinamento è parte integrante del contratto di appalto.
I datori di lavoro delle imprese esecutrici e i lavoratori autonomi sono tenuti ad attuare quanto previsto nel psc e nel piano operativo di sicurezza. I datori di lavoro delle imprese esecutrici mettono a disposizione dei rappresentanti per la sicurezza copia del piano di sicurezza e di coordinamento e del piano operativo di sicurezza almeno dieci giorni prima dell’inizio dei lavori.
L’impresa che si aggiudica i lavori ha facoltà di presentare al coordinatore per l’esecuzione proposte di integrazione al piano di sicurezza e di coordinamento, ove ritenga di poter meglio garantire la sicurezza nel cantiere sulla base della propria esperienza. In nessun caso le eventuali integrazioni possono giustificare modifiche o adeguamento dei prezzi pattuiti.

Quando è necessario produrre il PSC?

Il PSC (Piano di Sicurezza e Coordinamento) è obbligatorio quando all’interno del cantiere sono presenti più imprese, sia che si tratti di lavori privati o pubblici.
Deve essere redatto dal Coordinatore per la Sicurezza in fase di progettazione e la sua idoneità deve essere verificata dal Coordinatore per la Sicurezza in fase di esecuzione, che eventualmente può richiedere anche che vengano apportati degli aggiornamenti.
Non è invece obbligatorio quando all’interno del cantiere vi è una sola impresa e quando si tratta di lavori la cui esecuzione immediata è necessaria per prevenire incidenti imminenti o per organizzare urgenti misure di salvataggio o per garantire la continuità in condizioni di emergenza nell’erogazione di servizi essenziali per la popolazione quali corrente elettrica, acqua, gas, reti di comunicazione.

Quali sono i contenuti del PSC?

L’allegato XV del D.Lgs. 81/08 stabilisce i contenuti minimi del piano di sicurezza e coordinamento: a) l’identificazione e la descrizione dell’opera, esplicitata con:
l’indirizzo del cantiere;
la descrizione del contesto in cui é collocata l’area di cantiere;
una descrizione sintetica dell’opera, con particolare riferimento alle scelte progettuali, architettoniche, strutturali e tecnologiche;
b) l’individuazione dei soggetti con compiti di sicurezza, esplicitata con l’indicazione dei nominativi del responsabile dei lavori, del coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e, qualora già nominato, del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione ed a cura dello stesso coordinatore per l’esecuzione con l’indicazione, prima dell’inizio dei singoli lavori, dei nominativi dei datori di lavoro delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi;
c) una relazione concernente l’individuazione, l’analisi e la valutazione dei rischi concreti, con riferimento all’area ed alla organizzazione del cantiere, alle lavorazioni ed alle loro interferenze;
d) le scelte progettuali ed organizzative, le procedure, le misure preventive e protettive, in riferimento:
all’area di cantiere, ai sensi dei punti 2.2.1 e 2.2.4;
all’organizzazione del cantiere, ai sensi dei punti 2.2.2 e 2.2.4;
alle lavorazioni, ai sensi dei punti 2.2.3 e 2.2.4;
e) le prescrizioni operative, le misure preventive e protettive ed i dispositivi di protezione individuale, in riferimento alle interferenze tra le lavorazioni, ai sensi dei punti 2.3.1, 2.3.2 e 2.3.3;
f) le misure di coordinamento relative all’uso comune da parte di più imprese e lavoratori autonomi, come scelta di pianificazione lavori finalizzata alla sicurezza, di apprestamenti, attrezzature, infrastrutture, mezzi e servizi di protezione collettiva di cui ai punto 2.3.4 e 2.3.5;
g) le modalità organizzative della cooperazione e del coordinamento, nonché della reciproca informazione, fra i datori di lavoro e tra questi ed i lavoratori autonomi;
h) l’organizzazione prevista per il servizio di pronto soccorso, antincendio ed evacuazione dei lavoratori, nel caso in cui il servizio di gestione delle emergenze è di tipo comune, nonché nel caso di cui all’articolo 94, comma 419; il PSC contiene anche i riferimenti telefonici delle strutture previste sul territorio al servizio del pronto soccorso e della prevenzione incendi;
i) la durata prevista delle lavorazioni, delle fasi di lavoro e, quando la complessità dell’opera lo richieda, delle sottofasi di lavoro, che costituiscono il cronoprogramma dei lavori, nonché l’entità presunta del cantiere espressa in uomini-giorno;
l) la stima dei costi della sicurezza, ai sensi del punto 4.1.

Cos’è il PSS?

Il Piano sostitutivo di sicurezza (PSS) è un documento che l’impresa appaltatrice deve redigere nell’ambito di appalti pubblici, nel caso in cui non è stato redatto un Piano di sicurezza e coordinamento (PSC), cioè quando i lavori sono svolti da un’unica impresa e non si è obbligati a designare il Coordinatore per la progettazione e deve essere redatto entro 30 giorni dall’aggiudicazione dell’appalto.

Quali sono i contenuti del PSS?

Il piano sostitutivo della sicurezza (PSS) redatto a cura dell’appaltatore o del concessionario, contiene gli stessi elementi del PSC, con esclusione della stima dei costi della sicurezza.
Ove non sia prevista la redazione del PSC, il PSS, quando previsto, è integrato con gli elementi del POS.

Cos’è il DUVRI?

Il DUVRI (Documento Unico Valutazione dei Rischi Interferenti) è un unico documento di valutazione dei rischi che indica le misure adottate per eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze.
In caso di redazione del documento esso è allegato al contratto di appalto o di opera e deve essere adeguato in funzione dell’evoluzione dei lavori, servizi e forniture.

Quando è necessario produrre il DUVRI?

L’articolo 26 del D. Lgs. 81/08 stabilisce che il DUVRI è obbligatorio in caso di affidamento di lavori, servizi e forniture all’impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all’interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell’ambito dell’intero ciclo produttivo dell’azienda medesima, sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l’appalto o la prestazione di lavoro autonomo.

L’obbligo di redazione del DUVRI non si applica ai servizi di natura intellettuale, alle mere forniture di materiali o attrezzature, ai lavori o servizi la cui durata non è superiore a cinque uomini-giorno, sempre che essi non comportino rischi derivanti dal rischio di incendio di livello elevato, o dallo svolgimento di attività in ambienti confinati, o dalla presenza di agenti cancerogeni, mutageni o biologici, di amianto o di atmosfere esplosive o dalla presenza dei rischi particolari di cui all’allegato XI del presente decreto.

Ai fini del presente comma, per uomini-giorno si intende l’entità presunta dei lavori, servizi e forniture rappresentata dalla somma delle giornate di lavoro necessarie all’effettuazione dei lavori, servizi o forniture considerata con riferimento all’arco temporale di un anno dall’inizio dei lavori.

Quali sono i contenuti del DUVRI?

Il DUVRI deve contenere:
a) Dati identificativi dell’azienda committente, del luogo di lavoro, delle attività lavorative svolte;
b) Descrizione delle attività oggetto dell’appalto;
c) Descrizione delle attività svolte dalle ditte appaltatrici o dai lavoratori autonomi;
d) Indicazione dei locali/reparti delle ditte appaltatrici o dei lavoratori autonomi;
e) Indicazione dei criteri utilizzati per valutare i rischi;
f) Valutazione dei rischi da interferenza;
g) Descrizione e organizzazione delle misure preventive e protettive;
h) Stima dei costi della sicurezza;
i) Piano di coordinamento delle fasi lavorative.

Cos’è il piano di sicurezza-Comunicazione dei rischi?

È l’equivalente del piano operativo di sicurezza (POS) che deve essere effettuato per i cantieri temporanei e mobili e deve comprendere contenuti similari a quest’ultimo; è un documento in cui devono essere riportate le informazioni relative al luogo di lavoro in cui si svolgono le lavorazioni e devono essere valutati tutti i rischi a cui sono soggetti i lavoratori dell’impresa con le relative misure di prevenzione.

Faq – Domande frequenti Rumore

Cos’è il rumore?

Il rumore è un segnale di disturbo rispetto all’informazione trasmessa in un sistema ed è costituito da onde di pressione sonora. Il rumore viene definito come una somma di oscillazioni irregolari e intermittenti. il rumore può essere meglio definito come un #suono non desiderato e disturbante ed è collegato con i concetti di fastidio e di danno.

Cosa comporta il rumore a lavoro?

L’art.190 impone al datore di lavoro di effettuare una valutazione del rumore all’interno della propria azienda al fine di individuare i lavoratori esposti al rischio ed attuare gli appropriati interventi di prevenzione e protezione della salute. La valutazione del rischio deve essere effettuata da persona qualificata in tutte le aziende, indipendentemente dal settore produttivo, nelle quali siano presenti lavoratori subordinati o equiparati ad essi; nei casi in cui non si possa fondatamente escludere che siano superati i valori inferiori di azione (LEX>80 dB(A) o Lpicco,C > 135 dB(C)) la valutazione deve prevedere anche misurazioni effettuate secondo le appropriate norme tecniche (UNI EN ISO 9612:2011 e UNI 9432:2011).

L’esposizione al rumore fa male?

Il L’esposizione al rumore può comportare l’ipoacusia, che è la malattia professionale più diffusa in Italia. I danni che l’eccessiva esposizione sonora provoca all’apparato uditivo sono i seguenti:
Tinnitus: Consiste nell’udire rumore e toni squillanti anche quando nessun suono reale arriva all’orecchio.
Spostamento temporaneo della soglia (STS): Un’eccessiva stimolazione delle cellule uditive comporta un innalzamento della soglia uditiva; una soglia elevata causa una sensazione di perdita della sensibilità uditiva ed è il primo sintomo di affaticamento del sistema uditivo dovuto al rumore.
Spostamento permanente della soglia (SPS): L’innalzamento permanente della soglia uditiva corrisponde alla perdita di udito. La sordità completa, che si ha a seguito della perdita totale di funzionalità sia delle cellule interne che di quelle esterne, causa anche una degenerazione delle fibre nervose. L’ipoacusia da rumore può anche insorgere a livelli espositivi inferiori, in caso di alcuni co-fattori di rischio associati all’esposizione o assunzione di sostanze ototossiche o presenza di fattori individuali.
Effetti fisiopatologici
Il rumore può interferire con le attività mentali che richiedono attenzione, memoria ed abilità nell’affrontare problemi complessi. Tali effetti possono avere gravi ricadute sulla salute e comportare, in relazione alle condizioni individuali del soggetto esposto, l’insorgenza di Effetti cardiovascolari: ipertensione ed incremento del rischio infarto. Diminuzione delle difese immunitarie. Patologie funzionali gastro-intestinali.
Riposo e sonno
Il rumore può disturbare il sonno, inducendo difficoltà ad addormentarsi, riduzione della fase di sonno profondo, aumento dei risvegli ed effetti avversi dopo il risveglio o dopo un inadeguato riposo. Ciò può comportare affaticamento e deficit delle prestazioni lavorative.
Effetti sulla fonazione
Il rumore di fondo presente nell’ambiente o un ambiente acusticamente non idoneo può comportare un incremento di rischio per l’insorgenza di tali effetti. La disfonia funzionale è un disturbo della voce, generalmente è causata da un sovraccarico della voce conosciuto come “surmenage”, oppure da un uso scorretto della stessa che si definisce “malmenage”. Questo tipo di disfonie, colpisce maggiormente chi utilizza la voce per ragioni professionali, es: insegnanti, avvocati, cantanti, etc. Le disfonie organiche, si caratterizzano per lesioni e/o alterazioni degli organi coinvolti nella fonazione, talvolta secondarie ad un problema funzionale.
Effetti sulla sicurezza
Disturbo delle comunicazioni verbali
Mancanza di percezione di segnali acustici di sicurezza

Quali sono i livelli di rischio?

Le classi di rischio sono le seguenti:
Fino agli 80 decibel non vi è rischio.
Sopra agli 80 decibel siamo nella fascia di rischio basso.
Dagli 85 decibel in su siamo nella fascia di rischio medio.
Sopra agli 87 decibel siamo nella fascia di rischio alto.

Cosa comporta per il datore di lavoro l’esposizione dei dipendenti al rumore?

L’art. 187 del D. Lgs. 81/08 determina i requisiti minimi per la protezione dei lavoratori contro i rischi per la salute e la sicurezza derivanti dall’esposizione al rumore durante il lavoro e in particolare per l’udito.
Se il livello di esposizione è superiore agli 80 decibel:
Messa a disposizione dei DPI dell’udito, da parte del Datore di Lavoro.
Obbligo di formazione e informazione dei lavoratori in merito ai rischi provenienti dall’esposizione al rumore, alle misure adottate, ai DPI dell’udito, all’uso corretto delle attrezzature, al significato del ruolo del controllo sanitario e della valutazione del rumore.
Se il livello di esposizione è superiore agli 85 decibel:
Obbligatorietà dell’utilizzo dei DPI dell’udito.
Obbligo di formazione e informazione dei lavoratori in merito ai rischi provenienti dall’esposizione al rumore, alle misure adottate, ai DPI dell’udito, al significato del ruolo del controllo sanitario e della valutazione del rumore.
Controllo sanitario.
Se il livello di esposizione è superiore agli 87 decibel:
Adozione immediata di misure atte a riportare l’esposizione al di sotto dei valori limite di esposizione (Dispositivi di Protezione e/o interventi su attrezzature, strutture o ambienti).
Modifica delle misure di protezione e di prevenzione per evitare che la situazione si ripeta
Obbligo di formazione e informazione dei lavoratori in merito ai rischi provenienti dall’esposizione al rumore, alle misure adottate, ai DPI dell’udito, al significato del ruolo del controllo sanitario e della valutazione del rumore
Controllo sanitario

Quali sono le attività lavorative per le quali il rischio da esposizione a rumore generalmente supera gli 80dB(A) e deve essere valutato?

Concerie, tintorie pellame; Finissaggio; Roccatura; Tessitura (rettilinee, circolari, cotton); Lavorazione e produzione pelli; Produzione di bottoni; Produzione occhiali, ombrelli, penne; Ricamifici; Tintorie; Esercizio macchine agricole; Allevamenti suini; Disossatura con macchine; Imbottigliamento in vetro (acqua, vini, liquori …).
Lavorazione e conservazione prodotti; alimentari in genere (pomodori, ortaggi…); Macellazione; Mulini; Preparazione di pasti ad uso industriale; Produzione aceto, alcool, vino; Produzione di insaccati e lavorazione carni; Produzione mangimi.
Lavorazione ardesia e marmo; Produzione manufatti ceramici; Taglio piastrelle; Taglio del vetro; Lavorazione gomma e materie plastiche; Lavorazione vetroresina; Produzione e confeziona-mento di prodotti chimici; Discoteche; Musicisti, Orchestrali; Carpentieri edili; Costruttori edili, muratori; Costruzione prefabbricati; Lavorazione terracotta (fornaci); Lavori stradali; Levigatori; Marmisti; Lavorazione lapidei; Pavimentatori, piastrellisti; Perforazioni suolo, pozzi; Cartotecnica; Legatoria editoriale; Stampa offset; Tipografia, litografia; Lavorazione clichè in zinco;
Abbattimento piante; Lavorazioni di falegnameria; Segherie, produzione imballaggi; Verniciatori; Carpenterie; Carrozzerie; Affilatura utensili; Elettromeccanica; Fonderie; Lattonieri; Meccanica di produzione; Verniciatori; Gommisti; Sabbiatura; Saldatura (escluso “stagno”); Lavorazione alluminio; Montaggio e assemblaggio; Lavanderie industriali; Giardinaggio e manutenzione verde; Insegnanti di musica

Faq – Domande frequenti Vibrazioni

Cosa sono le vibrazioni?

Il termine vibrazione si riferisce a un’oscillazione meccanica attorno ad un punto d’equilibrio. Le oscillazioni caratteristiche delle vibrazioni possono essere libere o forzate, ossia influenzate da una forza esterna come nel caso dell’utilizzo di attrezzature da parte di un lavoratore. L’unità di misura della frequenza per le oscillazioni periodiche è l’hertz che corrisponde a quante volte, in un secondo, si ripresenta la stessa configurazione.

Quali tipologie di vibrazioni vi sono?

Vibrazioni mano-braccio: le vibrazioni meccaniche che, se trasmesse al sistema mano-braccio nell’uomo, comportano un rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori, in particolare disturbi muscolo scheletrici.
Vibrazioni corpo intero: le vibrazioni meccaniche che, se trasmesse al corpo intero, comportano rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, in particolare lombalgie e traumi del rachide.

L’esposizione alle vibrazioni fa male?

Gli effetti possono derivare da vibrazioni di bassa frequenza causate da superfici, impianti e macchinari sul corpo umano e da vibrazioni di frequenza medio-elevata, provocata da utensili elettrici o pneumatici al sistema mano-braccio.
Mano-Braccio.
Disturbi di natura neurologica formicolio (parestesie) e/o intorpidimento nelle dita delle mani (ipoestesie)
Sindrome del tunnel carpale
Disturbi muscoloscheletrici: deterioramento della forza muscolare, fatica e dolenzia muscolotendinea ipotonia-ipotrofismo della muscolatura degli arti superiori tendiniti, tenosinoviti.
Corpo Intero
Disturbi e patologie del rachide lombare Disturbi cervico-brachiali
Disturbi digestivi
Effetti sull’apparato riproduttivo Disturbi circolatori
Effetti cocleo-vestibolari.

Cosa comportano le vibrazioni a lavoro?

L’articolo 199 del D. Lgs. 81/08 prescrive le misure per la tutela della #salute e della sicurezza dei lavoratori che sono esposti o possono essere esposti a rischi derivanti da vibrazioni meccaniche. Questa valutazione si applica, quindi, alle aziende che hanno lavoratori esposti o che possono essere esposti a vibrazioni mano-braccio e/o corpo intero. L’obiettivo di questa valutazione è quella di permettere al Datore di lavoro di classificare correttamente i lavoratori nelle fasce di esposizione previste dal Capo III del Titolo VIII, DLgs. 81/2008.

Quali sono i limiti di esposizione lavorativa alle vibrazioni?

Mano/Braccio:
A(8) minore di 2,5 m/s2 non vi è rischio
tra 2,5 m/s2 e 5 m/s2 siamo nella fascia di rischio medio
> 5 m/s2 siamo nella fascia di rischio alto
Corpo intero:
A(8) minore di 0,5 m/s2 non vi è rischio
tra 0,5 m/s2 e 1 m/s2 siamo nella fascia di rischio medio
> 1 m/s2 siamo nella fascia di rischio alto

Cosa comporta per il datore di lavoro l’esposizione dei dipendenti alle vibrazioni?

Nel caso vengano superati i valori di azione, il datore di lavoro applica un programma di misure tecniche o organizzative, volte a ridurre al minimo l’esposizione ed i rischi che ne conseguono, considerando:
a) altri metodi di lavoro;
b) scelta di attrezzature di lavoro adeguate;
c) fornitura di attrezzature accessorie per ridurre i rischi di lesioni provocate dalle vibrazioni, quali sedili, maniglie o guanti;
d) adeguati programmi di manutenzione delle attrezzature di lavoro, del luogo di lavoro, dei sistemi sul luogo di lavoro e dei DPI;
e) progettazione e organizzazione dei luoghi e dei posti di lavoro;
f) adeguata informazione e formazione dei lavoratori sull’uso corretto e sicuro delle attrezzature di lavoro e dei DPI, in modo da ridurre al minimo la loro esposizione a vibrazioni meccaniche;
g) limitazione della durata e dell’intensità dell’esposizione;
h) organizzazione di orari di lavoro appropriati, con adeguati periodi di riposo;
i) la fornitura, ai lavoratori esposti, di indumenti per la protezione dal freddo e dall’umidità.
l) sorveglianza sanitaria

Quali sono le attività lavorative per le quali il rischio da esposizione a vibrazioni mano-braccio generalmente supera i livelli di esposizione e deve essere valutato?

Scalpellatura lapidei, sbavatura di fusioni, rimozioni di ruggini e vernici.
Rivettatura.
Edilizia – lavorazioni lapidei
Metalmeccanica
Autocarrozzerie
Fonderie Lapidei – Legno
Lavorazioni agricolo-forestali
Manutenzione aree verdi
Lavorazioni agricolo-forestali
Lavorazioni lapidei (porfido)
Sanità: Odontoiatria, Chirurgia toracica e ortopedica, Anatomia patologica

Quali sono le attività lavorative per le quali il rischio da esposizione a vibrazioni corpo intero generalmente supera i livelli di esposizione e deve essere valutato?

Scalpellatura
Edilizia
Agricoltura
Cave
Movimentazione portuale e industriale
Lapidei
Cantieristica
Trasporti (marittimo, su rotaia, etc.), servizi spedizioni etc.
Protezione civile, Pubblica sicurezza etc.
Servizi postali, servizi spedizioni e consegne etc.
Sanità

MMC – Movimentazione manuale dei carichi

Cosa si intende per Movimentazione Manuale dei Carichi (MMC)?

L’allegato XXXIII del D. Lgs. 81/08 determina la prevenzione del rischio di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari, connesse alle attività lavorative di movimentazione manuale dei carichi.

Per Movimentazione Manuale dei Carichi (MMC) si intendono le operazioni di trasporto o di sostegno di un carico ad opera di uno o più lavoratori, comprese le azioni del sollevare, deporre, tirare, portare o spostare un carico.

Quando la movimentazione può essere pericolosa?

La MMC può costituire un rischio per la colonna vertebrale in relazione a:
Caratteristiche del carico: il carico è troppo pesante; è ingombrante o difficile da afferrare; è in equilibrio instabile o il suo contenuto rischia di spostarsi; è collocato in una posizione tale per cui deve essere tenuto o maneggiato a una certa distanza dal tronco o con una torsione o inclinazione del tronco; può, a motivo della struttura esterna e/o della consistenza, comportare lesioni per il lavoratore, in particolare in caso di urto.
Sforzo fisico richiesto: è eccessivo; può essere effettuato soltanto con un movimento di torsione del tronco; può comportare un movimento brusco del carico; è compiuto col corpo in posizione instabile.
Caratteristiche dell’ambiente di lavoro: lo spazio libero, in particolare verticale, è insufficiente per lo svolgimento dell’attività richiesta; il pavimento è ineguale, quindi presenta rischi di inciampo o è scivoloso; il posto o l’ambiente di lavoro non consentono al lavoratore la movimentazione manuale di carichi a un’altezza di sicurezza o in buona posizione; il pavimento o il piano di lavoro presenta dislivelli che implicano la manipolazione del carico a livelli diversi; il pavimento o il punto di appoggio sono instabili; la temperatura, l’umidità o la ventilazione sono inadeguate.
Esigenze connesse all’attività: sforzi fisici che sollecitano in particolare la colonna vertebrale, troppo frequenti o troppo prolungati; pause e periodi di recupero fisiologico insufficienti; distanze troppo grandi di sollevamento, di abbassamento o di trasporto; un ritmo imposto da un processo che non può essere modulato dal lavoratore.
Fattori individuali: inidoneità fisica a svolgere il compito in questione tenuto altresì conto delle differenze di genere e di età; indumenti, calzature o altri effetti personali inadeguati portati dal lavoratore; insufficienza o inadeguatezza delle conoscenze o della formazione o dell’addestramento.

Quali sono i metodi per valutare il rischio da movimentazione dei carichi?

I metodi internazionalmente riconosciuti ma non ufficiali sono: NIOSH per il sollevamento e SNOOK, CIRIELLO per il trasporto, traino e spinta.

Valutazione col metodo Niosh:
Vengono considerate tutte le attività che comportano movimentazione manuale dei carichi richiedenti anche solamente un discreto impegno fisico o ritenute comunque faticose, purché non casuali o sporadiche. Tali attività espletate nei vari Servizi (con peso sollevato maggiore di 3 Kg) vengono raggruppate per analogia e omogeneità di peso e/o altezza.
Con tale approccio analizzando anche attività non gravose, si ha una sufficiente garanzia che di tutte le movimentazioni a rischio venga calcolato l’indice di esposizione. Viene determinato, per ogni azione di sollevamento, il cosiddetto “limite di peso raccomandato” attraverso un’equazione che, a partire dal peso massimo movimentabile in condizioni ideali considera l’eventuale esistenza di elementi sfavorevoli nella movimentazione in analisi, introducendo appositi fattori riducenti per ognuno di essi.
In pratica la movimentazione da analizzare fornisce in virtù delle sue caratteristiche “ergonomiche” i fattori demoltiplicatori con cui verrà via via ridotto il peso massimo movimentabile fino a fornire il “peso limite raccomandato”; tale peso servirà da riferimento (denominatore) nel rapporto con il “peso effettivamente sollevato” per calcolare il rischio connesso di quella attività di movimentazione.

Valutazione col metodo Snook e Ciriello:
Con essi si forniscono per ciascun tipo di azione, per sesso per diversi percentili di “protezione” della popolazione sana, nonché per varianti interne al tipo di azione (frequenza, altezza da terra, distanza di trasporto, ecc.) i valori limite di riferimento del peso (azioni di trasporto) o della forza esercitata (in azioni di tirare o spingere, svolte con l’intero corpo) rispettivamente nella fase iniziale e poi di mantenimento dell’azione; le due azioni elementari di spinta e mantenimento in cui e stata scomposta.

Quali sono i pesi limite nella movimentazione dei carichi?

Le Linee guida hanno individuato come costante di peso:
20 kg per le donne e i 25 kg per gli uomini tra i 18 e i 45 anni
15 kg per le donne e i 20 kg per gli uomini con meno di 18 e sopra i 45 anni

Pesi massimi in base alla frequenza di sollevamento:
12 kg per le donne e i 18 kg per gli uomini con frequenza di 1 volta ogni 5 minuti
10 kg per le donne e i 15 kg per gli uomini con frequenza di 1 volta ogni 1 minuto
8 kg per le donne e i 12 kg per gli uomini con frequenza di 2 volte ogni 1 minuto
4 kg per le donne e i 6 kg per gli uomini con frequenza di 5 volte ogni 1 minuto

La movimentazione dei carichi fa male?

Lo sforzo muscolare richiesto dalla MMC determina aumento del ritmo cardiaco e di quello respiratorio ed incide negativamente nel tempo sulle articolazioni, in particolare sulla colonna vertebrale, determinando cervicalgie, lombalgie e discopatie.

Cosa comporta il rischio da movimentazione dei carichi per il datore di lavoro?

Si riportano di seguito alcune delle principali misure di prevenzione che il datore di lavoro dovrà intraprendere nel caso in cui il suo personale sia esposto al rischio:

– Far movimentare i pesi, quando possibile, tramite due addetti, specialmente per i carichi maggiormente pesanti.
– Dotare il personale di attrezzature idonee di sollevamento e trasporto al fine di ridurre ulteriormente il rischio (utilizzo di transpallet, carrelli elevatori, carriole, etc.).
– Prima di movimentare a mano gli elementi valutare il loro peso e la loro dimensione ed individuare il modo più indicato per afferrarli, assicurandosi di avere una presa sicura e comoda; fare uso di guanti da lavoro.
– Evitare un’attività eccessivamente prolungata e continuativa di sollevamento e movimentazione di materiali, effettuando nel caso frequenti soste, anche brevi, nel corso dell’attività.
– Effettuare la turnazione del personale.
– Effettuare la sorveglianza sanitaria.
– Non far sollevare pesi superiori ai limiti
– Effettuare e rinnovare la formazione del personale sulle corrette procedure di movimentazione (Assicurarsi di sollevare e trasportare il materiale mantenendo una posizione stabile. Sollevare il carico partendo dalla posizione accovacciata. Tenere il carico vicino al corpo, tenere la schiena diritta, non sollevare il carico a strattoni, evitare la torsione e piegamento del busto. Non sollevare più materiali insieme, onde evitare il carico di pesi eccessivi e mal distribuiti accertandosi di avere la visuale libera. Nel caso di elementi di lunghezza significativa, se possibile, sollevarli e trasportarli in coppia, con i lavoratori posizionati alle estremità degli elementi, se impossibilitati, per esigenze di lavoro, valutare preventivamente e con cura le modalità e la posizione di presa, in modo da assicurare un sollevamento e trasporto stabile e sicuro. Sollevare il carico partendo dalla posizione accovacciata. Durante il trasporto, mantenere le braccia distese, evitando piegamenti repentini del gomito.)

Quali sono le lavorazioni che possono comportare il rischio da MMC?

Le principali lavorazioni che possono esporre il lavoratore al rischio derivante da MMC sono:
– Lavorazione della pietra e del marmo
– Lavori di pulizia
– Vivaismo
– Lavorazione prodotti agricoli
– Lavorazione tessuti
– Industria delle confezioni
– Lavorazione del legno
– Lavori edili
– Autocarrozzeria
– Elettrauto
– Gommista
– Cura e manutenzione del verde
– Sanità
– Lavanderie industriali
– Commercio all’ingrosso
– Commercio al dettaglio

Movimenti ripetitivi

Cosa si intende per movimenti ripetitivi?

Con il termine movimenti ripetitivi si intendono quei lavori con compiti ciclici che comportino l’esecuzione dello stesso movimento (o breve insieme di movimenti) degli arti superiori ogni pochi secondi oppure la ripetizione di un ciclo di movimenti per più di 2 volte al minuto per almeno 2 ore complessive nel turno lavorativo.

Quali sono i metodi per valutare il rischio da movimenti ripetitivi?

Le norme tecniche EN 1005-5 e ISO 11228-3 da tempo considerano il metodo OCRA come un metodo preferenziale per la valutazione di lavori manuali ripetitivi e per la progettazione di nuove macchine e processi di lavoro.
La valutazione dell’esposizione è necessaria al fine di verificare la presenza del rischio. Per la valutazione risultano importanti, se non fondamentali i segnalatori perché consentono di discriminare i contesti di lavoro in cui può risultare, e non necessariamente vi è, una più significativa esposizione ai fattori di rischio per le patologie degli arti superiori.
Laddove sia individuata, per un gruppo di lavoratori (posto, linea, reparto, etc.), la presenza di uno o più segnalatori, sarà necessario procedere ad un’analisi dell’esposizione più articolata.

Riportiamo di seguito i segnalatori:
– ripetitività;
– uso di forza;
– posture incongrue;
– impatti ripetuti.

I movimenti ripetitivi fanno male?

Si riportando si seguito alcune delle principali problematiche derivanti dall’esposizione ai movimenti ripetitivi:
– periartrite scapolo-omerale;
– infiammazioni tendinee;
– calcificazioni tendinee;
– epicondilite;
– sindrome del tunnel carpale;
– riduzione della funzione motoria (mancanza di forza, riduzione del movimento articolare, etc.);
– dolori articolari;
– persistenti formicolii agli arti superiori accompagnati da sensazioni di freddo o disturbi della sensibilità.

Cosa comporta l’esposizione dei lavoratori a movimenti ripetitivi per il datore di lavoro?

Nei casi in cui la valutazione del rischio da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori abbia evidenziato una situazione che richieda attenzione, si pone la necessità di mettere in atto interventi preventivi.
Si riportano di seguito alcuni dei principali interventi:
Di tipo strutturale:
– progettazione, diffusione e manutenzione di idonea strumentazione ed utensileria;
– idonea disposizione delle attrezzature di lavoro;
– scelta di appropriati strumenti ergonomici- corretta disposizione degli arredi;
– corretta progettazione degli spazi di lavoro e di transito;
– corretta postazione di lavoro.

Di carattere organizzativo:
– Corretta organizzazione del lavoro e delle pause lavorative;
– corretti tempi di recupero;
– rotazione tra compiti diversi.

Di carattere formativo:
– Formazione e informazione dei lavoratori;
– Predisposizione di procedure di lavoro e formazione sulle stesse

Quali sono le lavorazioni che possono comportare il rischio da movimenti ripetitivi?

Le principali lavorazioni che possono esporre il lavoratore al rischio derivante da movimenti ripetitivi sono:
– Lavorazione della pietra e del marmo (incisione, taglio, scultura)
– Lavori di pulizia
– Parrucchieri
– Vivaismo
– Lavorazione prodotti agricoli
– Lavorazione tessuti
– Industria delle confezioni
– Fabbricazione di calzature
– Lavorazione del legno
– Lavori edili
– Autocarrozzeria
– Elettrauto
– Gommista
– Cura e manutenzione del verde
– Sanità
– Lavanderie industriali
– Commercio all’ingrosso
– Commercio al dettaglio
– Ristorazione
– Macellazione e lavorazione carni

Chimico

Cosa sono gli agenti chimici?

Gli agenti chimici sono tutti gli elementi o composti chimici, sia da soli sia nei loro miscugli, allo stato naturale o ottenuti, utilizzati o smaltiti, compreso lo smaltimento come rifiuti, mediante qualsiasi attività lavorativa, siano essi prodotti intenzionalmente o no e siano immessi o no sul mercato.

Cosa sono gli agenti chimici pericolosi?

Agenti chimici che soddisfano i criteri di classificazione come pericolosi in una delle classi di pericolo fisico o di pericolo per la salute di cui al regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, indipendentemente dal fatto che tali agenti chimici siano classificati nell’ambito di tale regolamento115.
Agenti chimici che, pur non essendo classificabili come pericolosi, comportano un rischio per la sicurezza e la salute dei lavoratori a causa di loro proprietà chimico-fisiche, chimiche o tossicologiche e del modo in cui sono utilizzati o presenti sul luogo di lavoro, compresi gli agenti chimici cui è stato assegnato un valore limite di esposizione professionale.

Cos’è il rischio chimico?

Rischio connesso all’uso professionale di sostanze o preparati impiegati nei cicli di lavoro, che possono essere intrinsecamente pericolosi o risultare pericolosi in relazione alle condizioni d’impiego.

L’esposizione ad agenti chimici fa male?

L’esposizione ad agenti chimici può comportare irritazioni all’apparato respiratorio, allergie respiratorie e cutanee, irritazioni alla pelle e agli occhi, alterazioni sul sistema nervoso, alterazioni al fegato e all’apparato digestivo.

Cosa comporta l’esposizione ad agenti chimici a lavoro?

L’articolo 221 del D. Lgs. 81/08 determina i requisiti minimi per la protezione dei lavoratori contro i rischi per la salute e la sicurezza che derivano, o possono derivare, dagli effetti di agenti chimici presenti sul luogo di lavoro o come risultato di ogni attività lavorativa che comporti la presenza di agenti chimici. Nella valutazione il datore di lavoro determina la presenza di agenti chimici pericolosi sul luogo di lavoro e valuta anche i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori derivanti dalla presenza di tali agenti, valutando:
a) le loro proprietà pericolose;
b) le informazioni sulla salute e sicurezza comunicate dal fornitore tramite la relativa scheda di sicurezza;
c) il livello, il modo e la durata della esposizione;
d) le circostanze in cui viene svolto il lavoro tenuto conto della quantità delle sostanze e delle miscele che contengono o possono generare agenti chimici;
e) i valori limite di esposizione professionale o i valori limite biologici;
f) gli effetti delle misure preventive e protettive adottate o da adottare;
g) sorveglianza sanitaria.

Cos’è una scheda di dati di sicurezza (SDS)? A cosa serve?

La scheda di dati di sicurezza SDS (Safety Data Sheet) rappresenta il documento tecnico più significativo ai fini informativi sulle sostanze chimiche e loro miscele, in quanto contengono le informazioni necessarie sulle proprietà fisico-chimiche, tossicologiche e di pericolo per l’ambiente necessarie per una corretta e sicura manipolazione delle sostanze e miscele.
La scheda di dati di sicurezza consente al datore di lavoro di determinare se sul luogo di lavoro vengono manipolate sostanze chimiche pericolose e di valutare quindi ogni rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori derivanti dal loro uso.
Consente anche agli utilizzatori di adottare le misure necessarie in materia di tutela della salute, dell’ambiente e della sicurezza sul luogo di lavoro.

Cosa deve contenere una scheda di dati di sicurezza (SDS)?

La scheda di dati di sicurezza SDS (Safety Data Sheet) contiene le informazioni necessarie per una corretta e sicura manipolazione delle sostanze e miscele e deve contenere obbligatoriamente una serie di punti di seguito elencati:
1 Identificazione della sostanza/miscela e della società/impresa
2 Identificazione dei pericoli
3 Composizione/informazioni sugli ingredienti
4 Misure di primo soccorso
5 Misure antincendio
6 Misure in caso di rilascio accidentale
7 Manipolazione e immagazzinamento
8 Controllo dell’esposizione/protezione individuale
9 Proprietà fisiche e chimiche
10 Stabilità e reattività
11 Informazioni tossicologiche
12 Informazioni ecologiche
13 Considerazioni sullo smaltimento
14 Informazioni sul trasporto
15 Informazioni sulla regolamentazione
16 Altre informazioni

Cos’è il regolamento CLP?

Il regolamento CE) n. 1272/2008 del 16 dicembre 2008, denominato regolamento CLP (Classification, Labelling and Packaging – Classificazione, Etichettatura, Imballaggio), entrato in vigore nell’Unione europea il 20 gennaio 2009, ha modificato il sistema di classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e delle miscele.
Il regolamento CLP serve per armonizzare i criteri per la classificazione delle sostanze e delle miscele e le norme relative alla loro etichettatura e imballaggio e assicurare la protezione della salute umana e dell’ambiente e la libera circolazione delle sostanze e delle loro miscele.
Il regolamento CLP consente di determinare quali proprietà di una sostanza o di una miscela permettano di classificarla come pericolosa, affinché i pericoli che essa comporta possano essere adeguatamente identificati e resi noti.

Come vengono classificate le sostanze con il CLP?

La classificazione di una sostanza o di una miscela dà indicazioni qualitative sulle pericolosità della stessa in relazione alle persone e all’ambiente che ne sono esposte e riflette il tipo e la gravità dei pericoli ad essa associati.
Per quanto riguarda le sostanze, ai sensi del regolamento CLP la classificazione può essere effettuata in due modi ricorrendo alla:
1) classificazione armonizzata che si applica in generale soltanto per le sostanze cancerogene, mutagene o tossiche per la riproduzione e sensibilizzanti delle vie respiratorie;
2) autoclassificazione, ovvero sulla base delle informazioni disponibili, anche ottenute attraverso nuove prove, purché adeguate, attendibili e scientificamente valide.

La classificazione delle miscele, al contrario, ha luogo sempre per autoclassificazione.

Secondo il regolamento CLP quando un imballo deve essere etichettato?

Le etichette poste sulle confezioni dei prodotti chimici costituiscono una fonte di informazione sulla loro pericolosità e hanno lo scopo di evidenziare gli eventuali rischi a cui si è esposti durante l’uso e le opportune precauzioni da prendere per il corretto utilizzo, conservazione e smaltimento.
Ai sensi del regolamento CLP l’imballaggio contenente sostanze o miscele deve essere etichettato quando:
a) la sostanza è classificata come pericolosa;
b) la miscela contiene una o più sostanze classificate come pericolose al di sopra di determinate soglie;
L’etichetta va apposta saldamente sull’imballaggio e deve poter essere letta orizzontalmente quando l’imballaggio è posto in condizioni normali. Il colore e la presentazione dell’etichetta devono essere tali da renderne chiaramente visibili i pittogrammi; le informazioni contenute nell’etichetta devono essere facilmente leggibili ed indelebili.

Secondo il regolamento CLP cosa deve contenere un’etichetta?

Secondo la nuova normativa l’etichetta apposta sulla confezione deve contenere le seguenti informazioni:
a) nome, indirizzo e numero di telefono del fornitore o dei fornitori;
b) quantità nominale della sostanza o miscela contenuta nel collo messo a disposizione;
c) identificatori di prodotto (nome e numeri);
d) eventuali pittogrammi di pericolo;
e) avvertenze, se ve ne sono;
f) indicazioni di pericolo, se ve ne sono;
g) eventuali consigli di prudenza;
h) informazioni supplementari, se necessarie.

Cos’è il regolamento Reach?

Il regolamento europeo n.1907 del 2006, comunemente denominato REACH (Registration, Evaluation, Authorisation and Restriction of CHemical substances), ha apportato numerosi cambiamenti nella legislazione comunitaria inerente la produzione, la commercializzazione e l’utilizzo delle sostanze chimiche (in quanto tali o in quanto componenti di miscele).
ll REACH è stato introdotto al fine di aumentare il livello di protezione della salute umana e dell’ambiente, attraverso una migliore e più rapida identificazione delle proprietà delle sostanze chimiche e delle loro miscele.

Il regolamento Reach ha giocato un ruolo importante per quanto riguarda il principio di sostituzione degli agenti chimici pericolosi per la salute dei lavoratori con altri che non lo sono o lo sono meno.
Tramite la cosiddetta procedura di autorizzazione: le sostanze definite “estremamente preoccupanti” (Svhc) e incluse nell’allegato XIV non potranno più essere immesse sul mercato né utilizzate dopo la data indicata nello stesso allegato, senza una specifica autorizzazione all’uso. In base all’articolo 57 del regolamento Reach le Svhc includono:
a) sostanze che rientrano nelle classi di pericolo cancerogenicità, mutagenicità, tossicità per la riproduzione di categoria 1A o 1B (allegato I del regolamento Clp)
b) sostanze persistenti, bioaccumulabili e tossiche (Pbt) o molto persistenti e molto bioaccumulabili (vPvB), secondo i criteri di cui all’allegato XIII del regolamento Reach
c) sostanze aventi proprietà che perturbano il sistema endocrino o che danno adito a un livello di preoccupazione equivalente a quella suscitata dalle altre sostanze indicate ai punti precedenti.

Quali sono i soggetti coinvolti nel processo REACH?

I soggetti coinvolti nel processo REACH sono:
fabbricante: chi stabilito in UE fabbrica o estrae una sostanza in uno o più Stati Membri;
produttore di articoli: chi stabilito in UE produce o assembla un articolo in uno o più Stati Membri;
importatore: chi stabilito nella Comunità responsabile dell’importazione.
utilizzatore a valle: ogni utilizzatore industriale di sostanze chimiche, sia come formulatore di preparati (ad es.: vernici, detersivi), utilizzatore di chemicals (ad es.: oli o lubrificanti in processi industriali) o produttore di articoli (ad es.: componenti elettronici). I distributori e i consumatori non sono considerati utilizzatori a valle.
distributore: chi stabilito nella Comunità, compreso il rivenditore al dettaglio, si limita ad immagazzinare e a immettere sul mercato una sostanza, in quanto tale o in quanto componente di un preparato, ai fini della sua vendita a terzi.

Cosa deve fare un distributore secondo il REACH?

I principali adempimenti sono:
– trasmettere le informazioni pertinenti all’interno della catena d’approvvigionamento:
– fornire ai propri clienti tutte le informazioni relative alle proprietà delle sostanze e Miscele (tutte le sostanze che vendono devono essere corredate dalle schede di sicurezza);
– trasmettere al produttore o importatore, informazioni e richieste sui prodotti;
– rispondere a richieste specifiche di informazioni formulate da un suo cliente
Il distributore è tenuto a conservare le informazioni relative a una sostanza o a una miscela per un periodo di almeno dieci anni dopo che ha fornito per l’ultima volta la sostanza o la miscela.
Inoltre, il distributore deve applicare le misure per la riduzione dei rischi relativi al trasporto, stoccaggio, etc.

Nel caso di un rappresentante esclusivo (distributore che sia stato delegato per quanto concerne gli adempimenti del REACH, da un produttore estero) a questo fanno carico tutti gli obblighi del produttore:
– registrare allegando la lettera di nomina del produttore;
– preregistrare le sostanze “phase-in” e partecipare al Sief;
– mantenere disponibili le informazioni sulle sostanze, miscele o articoli;
– aggiornare le informazioni sulle quantità e l’elenco dei clienti UE che rappresenta.

Cosa deve fare un produttore e un importatore secondo il REACH?

Gli adempimenti principali di un produttore e di un importatore sono:
1) Obblighi per la registrazione delle sostanze I fabbricanti, importatori o rappresentanti esclusivi devono presentare all’ECHA (European CHemicals Agency) una registrazione per tutte le sostanze prodotte od importate nel territorio dell’Unione europea in quantità pari o superiori ad 1 tonnellata/anno per fabbricante o importatore, a meno che esse siano esentate dall’obbligo di registrazione.
2) Ai produttori e agli importatori di articoli è richiesta la notifica di una sostanza contenuta in articoli quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni dell’articolo 7, paragrafo 2:
la sostanza è inclusa nell’elenco di sostanze candidate per l’autorizzazione;
la sostanza è contenuta in articoli prodotti e/o importati in concentrazioni
il quantitativo totale di sostanza presente in tutti gli articoli prodotti e/o importati;
che contengono più dello 0,1 % (p/p) della sostanza, supera 1 tonnellata per attore all’anno;
non si applicano esenzioni.
Come indicato all’articolo 7 del REACH, la notifica di una sostanza SVHC contenuta in articoli deve essere effettuata entro sei mesi dall’inclusione nella lista di sostanze candidate per l’autorizzazione.
3) Inventario delle classificazioni ed etichettature Fabbricanti e importatori di sostanze immesse sul mercato dell’UE devono notificare all’ECHA la classificazione e l’etichettatura di tutte le sostanze soggette a registrazione o classificate come pericolose (indipendentemente dal loro volume) entro un mese dall’immissione sul mercato. L’Agenzia inserirà le sostanze notificate nell’Inventario delle classificazioni e delle etichettature.
4) Obblighi relativi alla Scheda dati di sicurezza (SDS) Produttori e importatori di sostanze devono informare i propri clienti sugli eventuali pericoli connessi all’impiego delle sostanze fornite per mezzo di Schede dati di sicurezza gratuite.
5) Obblighi per le sostanze soggette ad autorizzazioni È obbligatorio chiedere un’autorizzazione per gli usi e l’immissione sul mercato di sostanze SVHC inserite nell’Allegato XIV del regolamento REACH.
6) Obblighi per le sostanze soggette a restrizioni I fabbricanti, gli importatori ed i loro clienti devono rispettare le restrizioni indicate nell’Allegato XVII del regolamento REACH.

Cosa deve fare un utilizzatore a valle secondo il REACH?

Si riportano di seguito i principali adempimenti per gli utilizzatori:
– Devono attenersi alle istruzioni contenute nelle schede di dati di sicurezza (SDS) ricevute e negli scenari di esposizione allegati ad alcune di queste schede (e-SDS).
– Nel caso in cui utilizzi le sostanze secondo gli scenari descritti nelle schede, occorre solo applicare e rispettare le misure di controllo del rischio indicate nella e-SDS. Queste misure vanno implementate entro 12 mesi dalla data del ricevimento della e-SDS completa di numero di registrazione.
– L’utilizzatore ha il diritto di notificare un uso della sostanza al proprio fornitore affinché questi si preoccupi di renderlo un uso identificato.
– Deve contattare i propri fornitori nell’eventualità in cui entri in possesso di nuove informazioni sulla pericolosità della sostanza o nel caso in cui le misure di gestione dei rischi riportate nelle SDS non siano adeguate.
– Deve fornire tutte le informazioni di cui dispone sulla sostanza ai propri clienti, compresi i rivenditori al dettaglio e i consumatori.

Radiazioni

Quali sono le condizioni di maggiore suscettibilità alla radiazione solare?

Un importante fattore di rischio per i tumori della cute è quello strettamente correlato alla sensibilità individuale alla radiazione UV. Il fototipo di ogni individuo riassume in sé alcune caratteristiche individuali che possono determinare un rischio minore o maggiore. I fototipi 1 e 2, rappresentativi di una cute molto chiara, sono i più sensibili ai danni UV sia per gli effetti acuti che a lungo termine, ma il rischio derivante da esposizione a UV è comunque da considerarsi per tutti i fototipi.

Quali fattori concorrono ad incrementare il rischio espositivo?

I fattori che possono aumentare i rischi espositivi sono, in aggiunta alla sensibilità individuale della cute alla radiazione UV (fototipi più chiari), la presenza di fotodanneggiamento, di cheratosi attiniche, di esiti cicatriziali estesi, di esiti di ustioni estese in zone fotoesposte, di numerosi nevi, di nevi atipici, di una storia personale di pregressi tumori della cute e di una storia familiare di tumori della cute, nonché di fattori di rischio immunologici (immunosoppressione) e farmacologici. Oltre a numerose sostanze, anche numerosi farmaci di uso comune potrebbero dare fotosensibilizzazione.

Quali sono le attività lavorative per le quali il rischio da esposizione a radiazione solare deve essere valutato?

Lavorazioni agricolo/forestali
Floricultura – Giardinaggio
Addetti alla balneazione e ad altre attività su spiaggia o a bordo piscina
Edilizia e Cantieristica Stradale/ferroviaria/navale
Lavorazioni in cave e miniere a cielo aperto
Pesca e lavori a bordo di imbarcazioni, ormeggiatori, attività portuali
Addetti di piazzale movimentazione merci in varie tipologie lavorative (compresi addetti di scalo aeroportuali)
Addetti alle attività di ricerca e stoccaggio idrocarburi liquidi e gassosi nel territorio, nel mare e nelle piattaforme continentali
Maestri di sci o addetti impianti di risalita
Altri istruttori di sport all’aperto Parcheggiatori
Operatori ecologici/netturbini
Addetti agli automezzi per la movimentazione di terra Rifornimento carburante: stradale/aero-portuale
Portalettere/recapito spedizioni
Conducente di taxi, autobus, autocarri etc. Polizia municipale/Forze ordine/Militari con mansioni all’aperto
Addetti alla ristorazione all’aperto, venditori ambulanti
Operatori di eventi all’aperto
Manutenzioni piscine
Manutenzione linee elettriche ed idrauliche esterne

Quali misure tecniche e organizzative adottare all’esito della valutazione del rischio da radiazione solare?

Per i lavoratori esposti a radiazione solare dal punto di vista tecnico-organizzativo e procedurale si può prevedere quanto segue:
Limitazione dello svolgimento delle attività all’aperto nelle stagioni primavera-estate, nelle ore centrali della giornata, con particolare attenzione all’intervallo dalle 12.00 alle 15.00.
Devono essere previste pause nella giornata lavorativa (inclusa la pausa pranzo) da trascorrere in zone ombreggiate.
Rotazione dei lavoratori nell’ambito delle mansioni, in modo tale che il singolo lavoratore alterni periodi di attività al sole e periodi all’ombra (o al chiuso).
Creazione di zone d’ombra, ad esempio attraverso l’installazione di barriere di plastica/tessuto, coperture tipo teli/ombrelloni scuri, gazebi etc.

Quali misure di protezione individuale si devono adottare all’esito della valutazione del rischio da radiazione solare?

Per i lavoratori esposti a radiazione solare bisogna utilizzare:
Indumenti il più possibili coprenti
Copricapo/casco adeguati
Protezione per gli occhi (occhiali da sole)
Eventuale utilizzo di protezioni per la cute quali creme solari

L’esposizione alle radiazioni solari fa male?

Gli effetti dell’esposizione alle radiazioni solari possono comportare:
Effetti di tipo acuto a livello della cute
Eritema solare
Fotodermatosi con reazioni in genere eritematose o maculo-papulari
Fotodermatiti da agenti fototossici
Dermatiti foto allergiche da contatto
Immunosoppressione
Fotoinvecchiamento
Effetti di tipo acuto a livello dell’occhio
Fotocongiuntivite
Fotocheratite
Pinguecola: formazione degenerativa di natura non tumorale
Pterigio: alterazione degenerativa del margine corneo sclerale
Cataratta
Tumori oculari
Degenerazione maculare legata all’età

Cosa comporta l’esposizione alle radiazioni solari a lavoro?

Il datore di lavoro deve eliminare o ridurre al minimo i rischi derivanti dall’esposizione da radiazioni solari mediante:
1) progettazione e organizzazione dei sistemi di lavorazione sul luogo di lavoro
2) riduzione al minimo del numero di lavoratori che sono o potrebbero essere esposti
3) riduzione al minimo della durata dell’esposizione
4) utilizzo di appositi DPI
5) misure igieniche adeguate
6) Sorveglianza sanitaria

Microclima

Cosa si intende per microclima?

Il microclima consiste nel clima locale che caratterizza un ambiente chiuso o semichiuso. In base alle caratteristiche ambientali e alle condizioni microclimatiche si possono avere due diverse tipologie di ambienti: “ambiente termico moderato” e “ambiente termico severo”.

Cosa si intende con “ambiente termico moderato”?

È un ambiente nel quale si manifestano scostamenti “moderati” dalle condizioni ideali di comfort termico. In un ambiente termico moderato il soggetto riesce a mantenere l’equilibrio termico del corpo con ridotte sollecitazioni del sistema di termoregolazione.

Cosa si intende con “ambiente termico severo”?

Un ambiente termico “severo” è un ambiente nel quale i meccanismi di termoregolazione del corpo umano sono fortemente sollecitati, ed in casi estremi possono anche non essere sufficienti ad evitare gravi compromissioni temporanee o permanenti delle funzioni dell’organismo.

L’esposizione a microclima severo caldo/freddo fa male?

L’esposizione a microclima severo caldo/freddo può comportare:
Patologie da caldo
Lavorare al caldo pone richieste conflittuali al sistema cardiovascolare, in relazione alla tipologia di attività svolta ed alle caratteristiche individuali del soggetto e può comportare:
Sincope da calore
Iperpiressia
Colpo di calore
Crampi da calore: condizione patologica caratterizzata da spasmi muscolari dolorosi della durata di 1-3 minuti a carico di gastrocnemio (polpaccio), addome, colonna vertebrale, causati dallo svolgimento di attività muscolari intense in ambiente caldo-umido
Disturbi da disidratazione
Patologie a carico della pelle e delle ghiandole sudoripare
Eritema da calore

Patologie da freddo
Si distinguono patologie sistemiche e patologie localizzate.
Tra le patologie sistemiche rientrano:
Orticaria da freddo
Vasodilatazione prolungata, con formazione di elementi eritemato-pomfoidi dolenti e pruriginosi
Tachicardia, ipotensione, vampate al volto e anche sincope
Assideramento
Tra le patologie localizzate, rientrano: Acrocianosi
Dermatosi
Geloni ed eritema pernio
Congelamento

Effetti di tipo infortunistico
Malori causati dallo stress termico possono ridurre la capacità di attenzione del lavoratore

Quali sono i soggetti particolarmente sensibili al rischio microclima?

Soggetti con particolari sensibilità lavoratori appartenenti a gruppi particolarmente sensibili al rischio, incluse le donne in stato di gravidanza ed i minori. le persone con disabilità fisica lavoratori affetti da patologie, disturbi o condizioni patologiche anche temporanei, o sottoposti a terapie oppure portatori di condizioni di ipersuscettibilità individuale (Ad esempio: patologie cardiovascolari rilevanti, respiratorie, metaboliche, renali, neurologiche, disturbi psichici, abitudine e/o abuso di alcool, etc.).

Quali sono le attività per le quali deve essere valutato il rischio microclima?

Qualsiasi attività lavorativa che si svolga in ambienti ove esista un vincolo a causa del quale non sia possibile il conseguimento di condizioni termiche moderate.
Sono esempi di attività lavorative in cui l’ambiente termico può comportare un rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore:
Tutte le attività lavorative che implicano mansioni che si svolgono all’aperto, quali: cantieristica, lavorazioni agricolo forestali, attività marittime e portuali, attività presso stabilimenti petrolchimici, cave, attività di movimentazione e logistica all’aperto, attività di emergenza, soccorso, pubblica sicurezza, rifornimenti di carburante manutenzioni linee elettriche, idrauliche, piscine, operatori ecologici etc.
Le lavorazioni condizionate dalle temperature a cui si deve svolgere il processo produttivo, ad esempio:
lavorazioni in celle frigorifere, in depositi di prodotti farmaceutici, in prossimità di forni di essiccazione, forni fusori; produzione ceramiche; caseifici; cucine; cave in galleria, gallerie, miniere etc.
Le attività lavorative che necessitano per il loro svolgimento dell’adozione di particolari dispositivi di protezione individuale.
Le lavorazioni che richiedono elevato impegno fisico le lavorazioni che si svolgono in ambienti le cui condizioni termiche sono influenzate dalle condizioni meteoclimatiche esterne.

Cosa comporta l’esposizione a microclima severo caldo/freddo a lavoro?

Le procedure da mettere in atto sono:
1) progettare e pianificare i processi lavorativi in funzione della riduzione del rischio
2) ridurre la presenza dei fattori fisici nel luogo di lavoro, compatibilmente con la tipologia di lavoro svolta
3) ridurre al minimo la durata e l’intensità dell’esposizione dei lavoratori
4) ridurre al minimo il numero dei lavoratori potenzialmente esposti
5) provvedere alla formazione e all’informazione dei lavoratori
6) fornire attrezzature adeguate ai lavoratori
7) Sorveglianza sanitaria

Come gestire il rischio del caldo per i lavoratori outdoor?

Le azioni preventive consistono nel:
a) Garantire disponibilità di acqua fresca sul posto di lavoro, identificare quindi un’area dove sia possibile il rifornimento di acqua potabile, garantendo almeno 1 litro d’acqua/ora per ogni lavoratore. Ad inizio turno dovrà essere ribadita a ciascun lavoratore la necessità di bere ad intervalli regolari, ad esempio prima di iniziare il lavoro e un bicchiere d’acqua ogni 20 minuti circa.
b) Prevedere, laddove possibile, lavorazioni all’ombra o al chiuso in ambiente fresco nelle ore più calde altrimenti sospendere i lavori nelle ore critiche.
c) Programmare pause in luoghi freschi e comunque in aree ombreggiate.
d) I pasti dovranno essere consumati sempre in aree ombreggiate.
e) Programmare, laddove possibile, una rotazione nel turno fra i lavoratori esposti.
f) Fornire ai lavoratori: abiti leggeri di tessuto traspirante, scarpe di sicurezza di modello estivo, indumenti da lavoro refrigeranti.
g) Formare ed informare i lavoratori sulle problematiche legate all’esposizione al caldo

Come gestire il rischio del freddo per i lavoratori outdoor?

Le azioni preventive consistono nel:
a) Definire turni di lavoro solo nel periodo diurno (dalle 8 alle 17)
b) Predisporre periodi di pausa in ambienti confortevoli
c) Predisporre ove possibile ripari dal vento e dalla pioggia
d) Asciugarsi regolarmente il sudore in caso di sforzo fisico
e) Fornire ai lavoratori DPI antifreddo per il corpo, per il capo e per le mani
f) Fornire ai lavoratori DPI per la protezione dalla pioggia;
g) Indossare abbigliamento per il freddo (berretti antifreddo, se necessario al di sotto del casco antinfortunistico), evitare che l’abbigliamento risulti aderente e verificarne la buona traspirazione
h) Fornire ai lavoratori formazione ed informazione sulle problematiche legate all’esposizione al freddo
i) Fornire ai lavoratori pasti adeguati, bevande calde e vietare l’uso di bevande alcoliche.

Come gestire il rischio per lavoratori in regime di auto restrizione idrica per motivi religiosi o altri motivi?

Risulta indispensabile che nella prevenzione dello stress termico si attuino protocolli specifici di tutela per lavoratori esposti a rischio microclima che pratichino il Ramadan.
a) Il principale accorgimento per prevenire la disidratazione del lavoratore che pratica il Ramadan e che si trovi a dover operare in ambiente caldo è fare in modo che il lavoratore beva almeno 2 litri d’acqua dopo il tramonto e 2 litri d’acqua prima dell’alba.
b) Formare il lavoratore in merito alle problematiche e all’importanza di idratarsi.
c) Andranno inoltre attuate le stesse misure di tutela previste per gli altri lavoratori, predisponendo pause più frequenti al fresco per consentire la refrigerazione.
d) Importante è inoltre il regime alimentare da seguire dopo il tramonto e prima dell’alba, adottando uno stile alimentare appropriato, come di seguito indicato: Evitare di saltare il pasto del Suhoor (mattina prima dell’inizio del digiuno); .
Preferire alimenti con elevato contenuto di fibre e poveri di grassi insaturi; .
Consumare possibilmente i pasti dopo il digiuno in 2-3 pasti ridotti per evitare gli effetti dell’iperglicemia; .
Assumere carboidrati complessi all’inizio del giorno e carboidrati semplici la sera dopo il tramonto.

Ambienti confinati

Cosa si intende per ambiente confinato?

Uno spazio circoscritto non progettato e costruito per la presenza continuativa di un lavoratore, ma di dimensioni tali da consentirne l’ingresso e lo svolgimento del lavoro assegnato, caratterizzato da limitate aperture di accesso e da una ventilazione naturale sfavorevole, all’interno del quale è prevedibile la presenza o lo sviluppo di condizioni pericolose per la salute e la sicurezza dei lavoratori (ad. es. gas, vapori, polveri, carenza di ossigeno, etc.).

Alcuni ambienti confinati sono facilmente identificabili come tali, in quanto la limitazione legata alle aperture di accesso e alla ventilazione sono ben evidenti e/o la presenza di agenti chimici pericolosi è nota (pozzi, pozzi neri, fogne, camini, gallerie, etc.).

Altri ambienti ad un primo esame superficiale potrebbero non apparire come confinati. In particolari circostanze, legate alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa o ad influenze provenienti dall’ambiente circostante, essi possono invece configurarsi come tali e rivelarsi altrettanto insidiosi (Vasche, cavità, fosse, etc.).

Quali sono le lavorazioni che possono comportare la presenza di ambienti confinati?

I luoghi di lavoro interessati riguardano tutte quelle attività lavorative nelle quali sono presenti ambienti sospetti di inquinamento (cantieri temporanei o mobili) del D.L. 81/08, ovvero pozzi, pozzi neri, fogne, camini, fosse in genere, gallerie, condutture, caldaie e simili, vasche canalizzazioni, serbatoi e simili, tubazioni, recipienti, silos, cunicoli e in generale in recipienti e ambienti confinati. Ad esempio si riportano di seguito alcuni ambienti confinati in cui possono essere svolte delle lavorazioni:
a) cisterne interrate, seminterrate o fuori terra ma con accesso dall’alto contenenti prodotti o sottoprodotti di tipo organico, alimentare, zootecnico che possono dare luogo a fermentazioni derivanti sia dal ciclo produttivo (ad es. silos per foraggi) che di origine accidentale o comunque indesiderata (ad es. infiltrazioni d’acqua in silos per sfarinati);
b) cunicoli di fogne e di smaltimento di liquami sia di origine civile che zootecnico (fosse settiche, biologiche ed altro);
c) Silos, cisterne o altri contenitori per sostanze o prodotti chimici organici ed inorganici;
d) Recipienti di reazione e serbatoi di stoccaggio;
e) Cisterne su autocarri.
f) Piscine e loro spazi accessori
g) Celle frigorifere per la conservazione di alimenti, con particolare riguardo a quelle con atmosfera modificata
h) Vasche, interrate e fuori terra, per il contenimento di barbottine (argille sciolte in acqua);
i) Cavità, fosse, trincee, camere con l’apertura dall’alto, scavi profondi con ristagno di liquidi (e/o vapori) di varia natura compresa acqua piovana;
l) Camere di combustione nelle fornaci e simili;
m) Camere non ventilate o scarsamente ventilate;
n) Stive di imbarcazioni;
o) Serbatoi Pensili per acqua potabile;
p) Gallerie;

Quali sono i rischi collegati al lavoro in ambienti confinati?

Riportiamo di seguito i principali fattori di rischio presenti negli ambienti confinati e/o sospetti d’inquinamento e assimilabili:
a) Asfissia: Carenza di ossigeno a causa di processi fermentativi e/o formazione/presenza/introduzione di gas che si sostituiscono all’ossigeno
b) Condizioni microclimatiche sfavorevoli: Alta umidità, alta o bassa temperatura, etc.
c) Esplosione/Incendio: Evaporazione di liquidi, presenza/formazione di gas, sollevamento di polveri infiammabili e presenza di fonti di innesco di varia natura.
d) Intossicazione: Presenza di residui, reazioni di decomposizione o biologiche, etc.
e) Caduta: Mancata o errata predisposizione di opere provvisionali, mancato uso di DPI, etc.
f) Elettrocuzione: Impianti/utensili non adeguati alla classificazione dell’area, non conformi alla normativa applicabile o in cattivo stato, errori nello svolgimento delle lavorazioni, etc.
g) Contatto con organi in movimento: Parti di impianto/macchine non adeguatamente protetti, utilizzo di attrezzature non idonee, etc.
h) Investimento/Schiacciamento: Accesso da aree stradali, errori di manovra mezzi, etc.

Cosa comporta lavorare in ambienti confinati? Quali sono le misure da adottare?

Riportiamo di seguito le principali misure da adottare in caso di lavori all’interno di ambienti confinati.
Prima di entrare in un ambiente confinato ed effettuare le lavorazioni bisogna effettuare quanto segue:
a) nominare un responsabile degli interventi che autorizzerà segnando su apposito registro le operazioni in luoghi confinati nonché l’ingresso degli operatori dopo verifica dell’attuazione delle procedure di bonifica stabilite.
b) verificare gli ambienti, effettuare la valutazione dei rischi e valutare come procedere e quale attrezzatura utilizzare per effettuare la lavorazione.
c) Verificare la percentuale di ossigeno (superiore al 20%) e di altri eventuali gas presenti all’interno del luogo confinato con apposito strumento misuratore. Vige il divieto di ingresso in luoghi confinati che abbiano percentuali di ossigeno inferiore a 18%. Nei casi in cui sia inevitabile l’ingresso in ambienti confinati in cui la percentuale di ossigeno risulti inferiore al 20%, a causa della conformazione degli ambienti stessi che impedisce la loro completa bonifica o a causa di processi lavorativi in atto, i lavoratori devono essere dotati di DPI respiratori isolanti: autorespiratori alimentati ad aria compressa, con autonomia sufficiente a svolgere le lavorazioni.
d) Quando è accertata la presenza di gas, vapori tossici/nocivi o polveri/aerosol e quando non è possibile assicurare una efficiente areazione ed una completa bonifica dell’ambiente confinato, ogni lavoratore deve indossare una semimaschera oppure una maschera a pieno facciale con appositi filtri. Per la sosta in atmosfera pericolosa e per gli interventi di salvataggio e per i lavori in ambienti con scarso tenore di Ossigeno i Dispositivi di Protezione Individuale devono essere respiratori indipendenti dall’aria circostante (apparecchi respiratori autonomi a ciclo aperto o a ciclo chiuso, apparecchi ad adduzione d’aria dall’esterno).
e) Deve è prevista una vigilanza continua da parte di almeno un lavoratore esterno al luogo di lavoro.
f) Quando è tecnicamente possibile, il lavoratore indossa una imbragatura con attacco sulla schiena o doppio attacco sulle spalle collegata mediante una fune ad apposito argano.
g) L’operatore che entra dovrà essere dotato di segnalatore acustico tipo “cicala” similmente l’operatore all’esterno di segnalatore acustico (tromba, cicala, suoneria). Questo al fine di comunicare l’ordine di immediato abbandono del luogo. È necessario nel caso di ambienti confinati estesi laddove l’operatore esterno non riesca a controllare visivamente l’operatore che si trova all’interno, prevedere un collegamento coninterfono.
h) In caso di emergenze e pronto soccorso il personale di soccorso deve entrare nella locale confinato soltanto quando ha indossato l’autorespiratore ed eventualmente deve far indossare l’autorespiratore alla persona soccorsa. Nel caso risulti impossibile estrarre il lavoratore dal luogo confinato, avvicinare alla sua zona di respirazione il tubo di immissione dell’aria collegato al ventilatore, in modo da fargli respirare nel più breve tempo possibile aria pulita prelevata dall’esterno del locale.

Lavoro in quota

Cosa si intende per lavoro in quota?

In base all’articolo 107 del D.Lgs. 81/08 si intende per lavoro in quota un’attività lavorativa che espone il lavoratore al rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore a 2 m rispetto ad un piano stabile.

Quali sono i rischi, gli incidenti/infortuni e gli effetti derivanti dal lavoro in quota?

I principali incidenti sono i seguenti:
– morte del lavoratore dovuta alla caduta dall’alto in seguito alla perdita di equilibrio del lavoratore e/o all’assenza di adeguate protezioni (collettive o individuali).
– Lesioni gravi e/o morte per la sospensione inerte che, a seguito di perdita di conoscenza, può indurre la “patologia causata dalla imbracatura”, che consiste in un rapido peggioramento delle funzioni vitali in particolari condizioni fisiche e patologiche.
– il lavoratore potrebbe urtare contro un ostacolo o al suolo, lesioni gravi dovute all’“effetto pendolo”,.
– Lesioni (schiacciamenti, cesoiamenti, colpi, impatti, tagli) causate dalla caduta dall’alto di materiali trasportati con con gru, argani, etc. o da opere provvisionali

Quali sono le protezioni da utilizzare nel lavoro in quota?

Le protezioni da utilizzare al fine di garantire la massima protezione dei lavoratori possono essere fisse o temporanee (parapetti mobili, ponteggi, sistemi fissi di ancoraggio, etc.) e si dividono in:
– Collettive: come ad esempio parapetti, reti di sicurezza, ponteggi, etc.;
– Personali: si intendono i dispositivi individuali di protezione individuale (DPI) idonei per l’uso specifico, composti da diversi elementi, non necessariamente presenti contemporaneamente, conformi alle norme tecniche, quali assorbitori di energia, connettori, dispositivo di ancoraggio, cordini, dispositivi retrattili, guide o linee vita flessibili, guide o linee vita rigide, imbracature.

Cosa comporta il lavoro in quota per il datore di lavoro?

L’art. 111 del D.Lgs. 81/08 stabilisce che il datore di lavoro:
1. nei casi in cui i lavori temporanei in quota non possono essere eseguiti in condizioni di sicurezza e in condizioni ergonomiche adeguate a partire da un luogo adatto allo scopo, sceglie le attrezzature di lavoro più idonee a garantire e mantenere condizioni di lavoro sicure.
2. sceglie il tipo più idoneo di sistema di accesso ai posti di lavoro temporanei in quota in rapporto alla frequenza di circolazione, al dislivello e alla durata dell’impiego.
3. dispone affinché sia utilizzata una scala a pioli quale posto di lavoro in quota solo nei casi in cui l’uso di altre attrezzature di lavoro considerate più sicure non è giustificato a causa del limitato livello di rischio e della breve durata di impiego oppure delle caratteristiche esistenti dei siti che non può modificare.
4. dispone affinché siano impiegati sistemi di accesso e di posizionamento mediante funi alle quali il lavoratore è direttamente sostenuto, soltanto in circostanze in cui, a seguito della valutazione dei rischi, risulta che il lavoro può essere effettuato in condizioni di sicurezza e l’impiego di un’altra attrezzatura di lavoro considerata più sicura non è giustificato a causa della breve durata di impiego e delle caratteristiche esistenti dei siti che non può modificare.
5. individua le misure atte a minimizzare i rischi per i lavoratori, prevedendo, ove necessario, l’installazione di dispositivi di protezione contro le cadute.
6. nel caso in cui l’esecuzione di un lavoro di natura particolare richiede l’eliminazione temporanea di un dispositivo di protezione collettiva contro le cadute, adotta misure di sicurezza equivalenti ed efficaci.
7. effettua i lavori temporanei in quota soltanto se le condizioni meteorologiche non mettono in pericolo la sicurezza e la salute dei lavoratori.
8. dispone affinché sia vietato assumere e somministrare bevande alcoliche e superalcoliche ai lavoratori addetti ai cantieri temporanei e mobili e ai lavori in quota.

Ponteggi

Che cos’è un ponteggio?

Il ponteggio è una struttura reticolare, ad uso temporaneo, costituita da impalcati, costituiti in acciaio e a volte in alluminio. Gli impalcati possono essere costituiti da tavole di legno (ponti) o di acciaio. I ponteggi vengono solitamente realizzati per la costruzione o ristrutturazione di abitazioni civili, aree industriali ed installazioni varie.

Quali tipi di ponteggio vi sono?

Esistono varie tipologie di ponteggio, tra le principali vi sono:
fisso a telai prefabbricati: Si base sul collegamento di telai di altezza e profondità standard sui quali si montano poi le assi ed i parapetti.
a tubo-giunto: Si base sul collegamento di due tubi attraverso un giunto, è un ponteggio che è modulabile in qualsiasi modo, potendo utilizzare tubi di qualsiasi lunghezza ed in qualsiasi posizione.
multidirezionale (a montanti e traversi prefabbricati): Può essere considerato una via di mezzo tra il ponteggio prefabbricato e quello a tubi e giunti, poiché si tratta sempre di telai prefabbricati che possono però essere montati in più posizioni.
mobile (elettrico-autosollevante): Si tratta di una piattaforma che si solleva elettricamente in posizione fissa.

Per montare, modificare e smontare un ponteggio serve un corso di formazione?

Per poter montare, modificare, trasformare e smontare un ponteggio è necessario che l’addetto abbia svolto un corso di formazione della durata di 28 ore. Detto corso dovrà poi essere aggiornato ogni 4 anni tramite un corso della durata di 4 ore.

Cosa è necessario verificare prima del montaggio del ponteggio?

Prima del montaggio del ponteggio è necessario verificare:
– la presenza dell’autorizzazione ministeriale e del libretto;
– la presenza del Pi.M.U.S.;
– l’integrità di tutti i componenti ed elementi metallici;
– che tutti gli elementi siano di uno stesso costruttore (stessa autorizzazione ministeriale);
– l’idoneità della struttura di ancoraggio;
– le condizioni atmosferiche;
– l’idoneità degli ancoraggi.

Cos’è un Pi.M.U.S?

Il Pi.M.U.S (piano di montaggio, uso e smontaggio del ponteggio) è un documento necessario che gli addetti usano in cantiere per tutte quelle operazioni che riguardano i ponteggi.
L’articolo 136 del D.Lgs. 81/08 stabilisce che nei lavori in quota il datore di lavoro provvede a redigere a mezzo di persona competente un piano di montaggio, uso e smontaggio (Pi.M.U.S.), in funzione della complessità del ponteggio scelto, con la valutazione delle condizioni di sicurezza realizzate attraverso l’adozione degli specifici sistemi utilizzati nella particolare realizzazione e in ciascuna fase di lavoro prevista. Tale piano può assumere la forma di un piano di applicazione generalizzata integrato da istruzioni e progetti particolareggiati per gli schemi speciali costituenti il ponteggio, ed è messo a disposizione del preposto addetto alla sorveglianza e dei lavoratori interessati.

Quali sono i contenuti minimi del Pi.M.U.S?

I contenuti minimi del Pi.M.U.S. sono i seguenti:
1. Dati identificativi del luogo di lavoro;
2. Identificazione del datore di lavoro che procederà alle operazioni di montaggio e/o trasformazione e/o smontaggio del ponteggio;
3. Identificazione della squadra di lavoratori, compreso il preposto, addetti alle operazioni di montaggio e/o trasformazione e/o smontaggio del ponteggio;
4. Identificazione del ponteggio;
5. Disegno esecutivo del ponteggio dal quale risultino:
5.1. generalità e firma del progettista, salvo i casi di cui al comma 1, lettera g) dell’articolo 132,
5.2. sovraccarichi massimi per metro quadrato di impalcato,
5.3. indicazione degli appoggi e degli ancoraggi. Quando non sussiste l’obbligo del calcolo, ai sensi del comma 1, lettera g) dell’articolo 132, invece delle indicazioni di cui al precedente punto 5.1, sono sufficienti le generalità e la firma della persona competente di cui al comma 1 dell’articolo 136.
6. Progetto del ponteggio, quando previsto;
7. Indicazioni generali per le operazioni di montaggio e/o trasformazione e/o smontaggio del ponteggio (“piano di applicazione generalizzata”):
7.1. planimetria delle zone destinate allo stoccaggio e al montaggio del ponteggio, evidenziando, inoltre: delimitazione, viabilità, segnaletica, ecc.,
7.2. modalità di verifica e controllo del piano di appoggio del ponteggio (portata della superficie, omogeneità, ripartizione del carico, elementi di appoggio, ecc.),
7.3. modalità di tracciamento del ponteggio, impostazione della prima campata, controllo della verticalità, livello/bolla del primo impalcato, distanza tra ponteggio (filo impalcato di servizio) e opera servita, ecc.,
7.4. descrizione dei DPI utilizzati nelle operazioni di montaggio e/o trasformazione e/o smontaggio del ponteggio e loro modalità di uso, con esplicito riferimento all’eventuale sistema di arresto caduta utilizzato ed ai relativi punti di ancoraggio,
7.5. descrizione delle attrezzature adoperate nelle operazioni di montaggio e/o trasformazione e/o smontaggio del ponteggio e loro modalità di installazione ed uso,
7.6. misure di sicurezza da adottare in presenza, nelle vicinanze del ponteggio, di linee elettriche aeree nude in tensione, di cui all’articolo 117,
7.7. tipo e modalità di realizzazione degli ancoraggi,
7.8. misure di sicurezza da adottare in caso di cambiamento delle condizioni meteorologiche (neve, vento, ghiaccio, pioggia) pregiudizievoli alla sicurezza del ponteggio e dei lavoratori,
7.9. misure di sicurezza da adottare contro la caduta di materiali e oggetti; Illustrazione delle modalità di montaggio, trasformazione e smontaggio, riportando le necessarie sequenze “passo dopo passo”, nonché descrizione delle regole puntuali/specifiche da applicare durante le suddette operazioni di montaggio e/o trasformazione e/o smontaggio (“istruzioni e progetti particolareggiati”), con l’ausilio di elaborati esplicativi contenenti le corrette istruzioni, privilegiando gli elaborati grafici costituiti da schemi, disegni e foto; Descrizione delle regole da applicare durante l’uso del ponteggio; Indicazioni delle verifiche da effettuare sul ponteggio prima del montaggio e durante l’uso (vedasi ad es. ALLEGATO XIX).

Chi deve redigere il Pi.M.U.S? Quando deve essere redatto?

Gli artt. 131 – 138 del D.Lgs. 81/2008 stabiliscono che la redazione del Pi.M.U.S è un obbligo del datore di lavoro dell’impresa che monta, trasforma e smonta il ponteggio e deve essere predisposto tutte le volte che ci sia la necessità di utilizzare un ponteggio e prima di iniziare le attività sullo stesso.

Incendio ed esplosione

Cosa si intende per incendio?

Si intende la rapida ossidazione di materiali con sviluppo di calore, fiamme, fumo e gas caldi.
Gli effetti dell’incendio sono:
Emanazione di energia (calore) e la trasformazione dei combustibili(prodotti di combustione)

Cosa si intende per combustione?

È una reazione chimica di una sostanza combustibile con un comburente che dà luogo allo sviluppo di calore, fiamma, gas, fumo e luce.
Può avvenire con o senza sviluppo di fiamme superficiali.
Solitamente il comburente è l’ossigeno contenuto nell’aria.

Cosa si intende per triangolo del fuoco?

La combustione (reazione chimica di un combustibile con un comburente) può essere rappresentata da un triangolo con lati costituiti da: Combustibile, Comburente e Sorgente di calore.
Solo la contemporanea presenza di questi 3 elementi da luogo all’incendio.Se manca uno di essi l’incendio si estingue.

Quali sono le classi dei fuochi?

I fuochi sono distinti in 5 classi:
A: Fuochi da solidi
B: Fuochi da liquidi
C: Fuochi da gas
D: Fuochi da metalli
F: Fuochi da mezzi di cottura (oli e grassi vegetali o animali).

Cosa si intende per flashover?

Viene definito flashover il lasso di tempo che vede un piccolo fuoco iniziale svilupparsi in un incendio nel quale tutti i materiali combustibili sono coinvolti simultaneamente.
La fase di flash-over (incendio generalizzato) ha le seguenti caratteristiche:
– brusco incremento della temperatura
– crescita esponenziale della velocità di combustione
– forte aumento di emissioni di gas e di particelle incandescenti
– i combustibili vicini al focolaio si autoaccendono, quelli più lontani si riscaldano e raggiungono la loro temperatura di combustione con produzione di gas di distillazione infiammabili

Quali sono le sorgenti di innesco?

Possono essere suddivise in 4 categorie:
– Accensione diretta: Una fiamma, una scintilla o altro materiale incandescente entra in contatto con un materiale combustibile in presenza di ossigeno.
– Accensione indiretta: Il calore d’innesco avviene nelle forme della convezione, conduzione e irraggiamento termico.
– Attrito: Il calore è prodotto dallo sfregamento di due materiali.
– Autocombustione o riscaldamento spontaneo: Il calore è prodotto dallo stesso combustibile

Quali sono le cause e i pericoli più comuni del rischio incendio?

A titolo esemplificativo si riportano le cause ed i pericoli di incendio più comuni:

a) deposito di sostanze infiammabili o facilmente combustibili in luogo non idoneo o loro manipolazione senza le dovute cautele;
b) accumulo di rifiuti, carta od altro materiale combustibile che può essere incendiato accidentalmente o deliberatamente;
c) negligenza relativamente all’uso di fiamme libere e di apparecchi generatori di calore;
d) inadeguata pulizia delle aree di lavoro e scarsa manutenzione delle apparecchiature;
e) uso di impianti elettrici difettosi o non adeguatamente protetti;
f) riparazioni o modifiche di impianti elettrici effettuate da persone non qualificate;
g) presenza di apparecchiature elettriche sotto tensione anche quando non sono utilizzate (salvo che siano progettate per essere permanentemente in servizio);
h) utilizzo non corretto di apparecchi di riscaldamento portatili;
i) ostruzione delle aperture di ventilazione di apparecchi di riscaldamento, macchinari, apparecchiature elettriche e di ufficio;
j) presenza di fiamme libere in aree ove sono proibite, compreso il divieto di fumo o il mancato utilizzo di portacenere;
k) negligenze di appaltatori o degli addetti alla manutenzione;
l) inadeguata formazione professionale del personale sull’uso di materiali od attrezzature pericolose ai fini antincendio.
Al fine di predisporre le necessarie misure per prevenire gli incendi, si riportano di seguito alcuni degli aspetti su cui deve essere posta particolare attenzione:
– deposito ed utilizzo di materiali infiammabili e facilmente combustibili;
– utilizzo di fonti di calore;
– impianti ed apparecchi elettrici;
– presenza di fumatori;
– lavori di manutenzione e di ristrutturazione;
– rifiuti e scarti combustibili;
– aree non frequentate.

Quali sono le classificazioni dei luoghi a rischio incendio?

Luoghi di lavoro a rischio d’incendio basso:
si intendono a rischio basso i luoghi di lavoro, o parte di essi, in cui sono presenti sostanze a basso tasso d’infiammabilità e le condizioni locali e di esercizio offrono scarse possibilità di sviluppo di principio d’incendio ed in cui, in caso d’incendio, la probabilità di propagazione dello stesso è da ritenersi limitata. Più in generale i luoghi non classificabili a rischio medio o elevato, dove, in genere, risultano presenti materiali infiammabili in quantità limitata o sostanze scarsamente infiammabili e dove le condizioni di esercizio offrono limitate possibilità di sviluppo di un incendio e di un’eventuale propagazione.

Luoghi di lavoro a rischio d’incendio medio: si intendono a rischio medio i luoghi di lavoro, o parte di essi, in cui sono presenti sostanze infiammabili e/o condizioni locali e/o di esercizio che possono favorire lo sviluppo di incendi, ma nei quali, in caso d’incendio, la probabilità di propagazione dello stesso è da ritenersi limitata.
Ad esempio si considerano luoghi di lavoro a rischio d’incendio medio le attività comprese nell’allegato I al DPR 1 agosto 2011 con l’esclusione delle attività classificate a rischio d’incendio elevato, i cantieri temporanei e mobili ove si conservano e si utilizzano sostanze infiammabili ovvero ove si fa uso di fiamme libere, esclusi quelli interamente all’aperto, di seguito alcuni esempi: fabbriche di mobili e di infissi con oltre 50 addetti; industria dell’arredamento e dell’abbigliamento con oltre 75 addetti; magazzini di vendita con oltre 50 addetti; uffici e aziende con oltre 300 dipendenti; i cantieri temporanei e mobili ove si detengono ed impiegano sostanze infiammabili e si fa uso di fiamme libere, esclusi quelli interamente all’aperto.

Luoghi di lavoro a rischio d’incendio elevato: si intendono a rischio elevato i luoghi di lavoro, o parte di essi, in cui per presenza di sostanze altamente infiammabili e/o condizioni locali e/o di esercizio sussistono notevoli probabilità di sviluppo di incendi e nella fase iniziale sussistono forti probabilità di propagazione delle fiamme, ovvero non è possibile la classificazione come luogo a rischio d’incendio basso o medio. Di seguito alcuni esempi: alberghi con oltre 200 posti letto; ospedali, case di cura e case di ricovero per anziani; scuole di ogni ordine e grado con oltre 1000 persone presenti; uffici con oltre 1000 dipendenti; fabbriche e depositi di esplosivi;

Quali sono i sistemi di spegnimento?

I sistemi di spegnimento sono i seguenti:
Esaurimento del combustibile:
Allontanamento o separazione della sostanza combustibile dal focolaio d’incendio;
Soffocamento: Separazione del comburente dal combustibile o riduzione della concentrazione di comburente;
Raffreddamento: Sottrazione di calore fino a una temperatura inferiore a quella di mantenimento della combustione.
Azione chimica di estinzione (azione anticatalitica o catalisi negativa): Sono sostanze che inibiscono il processo della combustione (es. halon, polveri). Gli estinguenti chimici si combinano con i prodotti volatili che si sprigionano dal combustibile, rendendoli inadatti alla combustione, bloccando la reazione chimica della combustione.

Normalmente per lo spegnimento di un incendio si utilizza una combinazione delle operazioni di esaurimento del combustibile, di soffocamento, di raffreddamento e di azione chimica.

Quali sono le principali sostanze estinguenti?

Le principali sostanze estinguenti sono:
Acqua
Schiuma
Polveri
Gas inerti
Idrocarburi alogenati (HALON)
Agenti estinguenti alternativi all’halon

Quali sono i metodi per valutare il rischio incendio?

La valutazione del rischio derivante da un incendio adotta come criterio per la quantificazione del livello del rischio un algoritmo, secondo il quale analizzando i parametri o fattori di rischio prescritti dall’articolo 46 del D.Lgs. 81/2008, dal D.M. 10 Marzo 1998, dal DPR 1 Agosto 2011 N° 151, è possibile valutare il livello di rischio per categorie di lavoratori e per l’ambiente esterno.
I fattori di rischio analizzati:
a) Fattori di rischio o carenze che generano la possibilità o probabilità che si verifichi un incendio (presenza di materiale infiammabile o sorgenti di innesco non controllate);
b) Fattori di rischio o carenze che generano rischi per la sicurezza dei lavoratori (carenze di protezione attività e passiva all’interno dell’azienda, carenza di procedure di lavoro nelle aree a rischio di incendio specifico);
c) fattori o carenze legate all’organizzazione del lavoro (carenza di informazione e formazione dei lavoratori, di procedure per la gestione delle emergenze, presenza di pubblico, di lavoratori in posti isolati o di lavoratori);
d) fattori che generano rischi per l’ambiente esterno (popolazione, suolo, bacini e simili).

Viene quindi calcolato un indice di rischio al quale viene attribuito un livello ritenuto basso, medio o elevato.

Cosa comporta il rischio incendio per il datore di lavoro?

Il datore di lavoro deve:
– eliminare o ridurre le probabilità che possa insorgere un incendio;
– organizzare un efficiente sistema di vie ed uscite di emergenza in attuazione a quanto indicato dalla normativa;
– allestire idonee misure atte a garantire una rapida segnalazione d’incendio a tutte le persone presenti nei luoghi di lavoro;
– installare: dispositivi di estinzione incendi (estintori portatili, carrellati ed idranti), in numero e capacità appropriata; efficienti impianti di spegnimento automatico e/o manuale d’incendio in tutte le aree o locali a rischio specifico d’incendio (come ad esempio locali adibiti ad archivi, a magazzini, a depositi contenenti sensibili quantitativi di materiali combustibili;
– assicurare che: tutti i mezzi, le attrezzature ed i dispositivi di lotta agli incendi, siano mantenuti nel tempo in perfetto stato di funzionamento; tutte le vie e le uscite di emergenza, siano regolarmente controllate al fine di essere costantemente e perfettamente fruibili in caso di necessità; tutti i dispositivi di rivelazione e di allarme incendio, siano oggetto di costante controllo e di prove periodiche di funzionamento affinché mantengano nel tempo adeguata efficienza;
– garantire ai lavoratori una completa formazione ed informazione: sul rischio d’incendio legato all’attività ed alle specifiche mansioni svolte; sulle misure di prevenzione adottate nei luoghi di lavoro; sull’ubicazione delle vie d’uscita; sulle procedure da adottare in caso d’incendio; sulle modalità di chiamata degli Enti preposti alla gestione delle emergenze; sulle esercitazioni periodiche di evacuazione dai luoghi di lavoro etc..

Cosa si intende per esplosione?

Un’esplosione è una reazione chimica di una sostanza infiammabile che avviene a elevata velocità e che rilascia una notevole quantità di energia.
Il pericolo di esplosione si ha quindi quando un’azienda produce, lavora o immagazzina gas, liquidi o polveri infiammabili suscettibili di rilasciare gas, vapori o nebbie che con l’aria possono dare origine a una miscela esplosiva.

Quando può avvenire un’esplosione?

L’esplosione può avvenire quando si trovano in relazione 4 elementi:
Combustibile, comburente, innesco e miscela esplosiva.

Cosa si intende per atmosfera esplosiva?

Si intende per «atmosfera esplosiva» una miscela con l’aria, a condizioni atmosferiche, di sostanze infiammabili allo stato di gas, vapori, nebbie o polveri in cui, dopo accensione, la combustione si propaga nell’insieme della miscela incombusta. Per condizioni atmosferiche si intendono condizioni nelle quali la concentrazione di ossigeno nell’atmosfera è approssimativamente del 21 per cento e che includono variazioni di pressione e temperatura al di sopra e al di sotto dei livelli di riferimento, denominate condizioni atmosferiche normali (pressione pari a 101325 Pa, temperatura pari a 293 K), purché tali variazioni abbiano un effetto trascurabile sulle proprietà esplosive della sostanza infiammabile o combustibile.

Quali sono le zone a rischio esplosione?

Le zone a rischio esplosione sono le seguenti:
Gas, vapore e nebbie
Zona 0
Area in cui è presente in permanenza o per lunghi periodi o frequentemente un’atmosfera esplosiva consistente in una miscela di aria e di sostanze infiammabili sotto forma di gas, vapore o nebbia.
Zona 1
Area in cui la formazione di un’atmosfera esplosiva, consistente in una miscela di aria e sostanze infiammabili, sotto forma di gas, vapori o nebbia, è probabile che avvenga occasionalmente durante le normali attività.
Zona 2
Area in cui durante le normali attività non è probabile la formazione di un’atmosfera esplosiva consistente in una miscela di aria e sostanze infiammabili, sotto forma di gas.

Polveri
Zona 20
Area in cui è presente in permanenza o per lunghi periodi o frequentemente un’atmosfera esplosiva sotto forma di nube di polvere combustibile nell’aria.
Zona 21
Area in cui la formazione di un’atmosfera esplosiva sotto forma di nube di polvere combustibile nell’aria, è probabile che avvenga occasionalmente durante le normali attività.
Zona 22
Area in cui durante le normali attività non è probabile la formazione di un’atmosfera esplosiva sotto forma di nube di polvere combustibile nell’aria o, qualora si verifichi, sia unicamente di breve durata.

Zona 0 e Zona 20: Presenza di atmosfera esplosiva continua o per lunghi periodi.
Frequenza in un anno: < 10-1
Durata (ore): > 1000

Zona 1 e Zona 21: Presenza di atmosfera esplosiva periodica od occasionale nel funzionamento normale.
Frequenza in un anno: 10-1 > P > 10-3
Durata (ore): 1000 > h > 10

Zona 2 e Zona 22: Presenza di atmosfera esplosiva non prevista nel funzionamento normale e solo per brevi periodi.
Frequenza in un anno: 10-3 > P > 10-5
Durata (ore): 10 > h > 0,1

Cosa si intende per certificato di prevenzione incendi (CPI)?

Il Certificato di Prevenzione Incendi (CPI) è un documento che certifica la sussistenza dei requisiti di sicurezza in materia di antincendio, garantendo quindi il rispetto della normativa.
Il CPI ha una validità di 5 anni ed è obbligatorio averlo per le attività della Categoria C dell’allegato I del D.P.R. n. 151/2011.

Quali sono le attività a maggior rischio in caso di incendio?

Le attività sono identificate nell’allegato I del D.P.R. n. 151/2011 e tra queste vi sono ad esempio:
– Depositi di gas infiammabili in serbatoi fissi: compressi per capacità geometrica complessiva superiore o uguale a 0, 75 m3;disciolti o liquefatti per capacità geometrica complessiva superiore o uguale a 0,3 m3.
– Depositi di gas comburenti compressi e/o liquefatti in serbatoi fissi e/o recipienti mobili per capacità geometrica complessiva superiore o uguale a 3 m3
– Officine e laboratori con saldatura e taglio dei metalli utilizzanti gas infiammabili e/o comburenti, con oltre 5 addetti alla mansione specifica di saldatura o taglio.
– Depositi e/o rivendite di liquidi infiammabili e/o combustibili e/o oli lubrificanti, diatermici, di qualsiasi derivazione, di capacità geometrica complessiva superiore a 1 m3.
– Impianti fissi di distribuzione carburanti per l’autotrazione, la nautica e l’aeronautica; contenitori.
– distributori rimovibili di carburanti liquidi: Impianti di distribuzione carburanti liquidi; Impianti fissi di distribuzione carburanti gassosi e di tipo misto (liquidi e gassosi).
– Officine o laboratori per la verniciatura con vernici infiammabili e/o combustibili con oltre 5 addetti.
– Pastifici e/o riserie con produzione giornaliera superiore a 50.000 kg.
– Depositi di legnami da costruzione e da lavorazione, di legna da ardere, di paglia, di fieno, di canne, di fascine, di carbone vegetale e minerale, di carbonella, di sughero e di altri prodotti affini con quantitativi in massa superiori a 50.000 kg con esclusione dei depositi all’aperto con distanze di sicurezza esterne superiori a 100 m.
– Stabilimenti e laboratori per la lavorazione del legno con materiale in lavorazione e/o in deposito superiore a 5.000 kg.
– Impianti e stabilimenti ove si producono, lavorano e/o detengono fibre tessili e tessuti naturali e artificiali, tele cerate, linoleum e altri prodotti affini, con quantitativi in massa superiori a 5.000 kg.
– Stabilimenti per la produzione di arredi, di abbigliamento, della lavorazione della pelle e calzaturifici, con oltre 25 addetti.
– Teatri e studi per le riprese cinematografiche e televisive.
– Stabilimenti, con oltre 5 addetti, per la costruzione di aeromobili, veicoli a motore, materiale rotabile ferroviario e tramviario, carrozzerie e rimorchi per autoveicoli; cantieri navali con oltre 5 addetti.
– Officine per la riparazione di: veicoli a motore, rimorchi per autoveicoli e carrozzerie, di superficie coperta superiore a 300 m2;materiale rotabile tramviario e di aeromobili, di superficie coperta superiore a 1000 m2.
– Officine meccaniche per lavorazioni a freddo con oltre 25 addetti.
– Cementifici con oltre 25 addetti.
– Stabilimenti per la produzione, depositi di sapone, di candele e di altri oggetti di cera e di paraffina, di acidi grassi, di glicerina grezza quando non sia prodotta per idrolisi, di glicerina raffinata e distillata ed altri prodotti affini, con oltre 500 kg di prodotto in lavorazione e/o deposito.
– Centri informatici di elaborazione e/o archiviazione dati con oltre 25 addetti.
– Locali di spettacolo e di trattenimento in genere, impianti e centri sportivi, palestre, sia a carattere pubblico che privato, con capienza superiore a 100 persone, ovvero di superficie lorda in pianta al chiuso superiore a 200 m2. Sono escluse le manifestazioni temporanee, di qualsiasi genere, che si effettuano in locali o luoghi aperti al pubblico.
– Alberghi, pensioni, motel, villaggi albergo, residenze turistico – alberghiere, studentati, villaggi turistici, alloggi agrituristici, ostelli per la gioventù, rifugi alpini, bed & breakfast, dormitori, case per ferie, con oltre 25 posti-letto; Strutture turistico-ricettive nell’aria aperta (campeggi, villaggi-turistici, ecc.) con capacità ricettiva superiore a 400 persone.
– Scuole di ogni ordine, grado e tipo, collegi, accademie con oltre 100 persone presenti; asili nido con oltre 30 persone presenti.
– Strutture sanitarie che erogano prestazioni in regime di ricovero ospedaliero e/o residenziale a ciclo continuativo e/o diurno, case di riposo per anziani con oltre 25 posti letto.
– Strutture sanitarie che erogano prestazioni di assistenza specialistica in regime ambulatoriale, ivi comprese quelle riabilitative, di diagnostica strumentale e di laboratorio, di superficie complessiva superiore a 500 m2.
– Locali adibiti ad esposizione e/o vendita all’ingrosso o al dettaglio, fiere e quartieri fieristici, con superficie lorda superiore a 400 m2 comprensiva dei servizi e depositi. Sono escluse le manifestazioni temporanee, di qualsiasi genere, che si effettuano in locali o luoghi aperti al pubblico.
– Locali adibiti a depositi di superficie lorda superiore a 1000 m2 con quantitativi di merci e materiali combustibili superiori complessivamente a 5000 kg.
– Aziende ed uffici con oltre 300 persone presenti.
– Autorimesse pubbliche e private, parcheggi pluriplano e meccanizzati di superficie complessiva superiore a 300 m2; locali adibiti al ricovero di natanti ed aeromobili di superficie superiore a 500 m2; depositi di mezzi rotabili al chiuso (treni, tram ecc.) di superficie superiore a 1000 m2.
– Tipografie, litografie, stampa in offset ed attività similari con oltre cinque addetti

Quali sono le categorie di differenziazione delle attività soggette?

L’Allegato 1 del D.P.R. n. 151/2011 contiene l’elenco di attività, considerate a maggior rischio in caso d’incendio, quindi soggette al certificato di prevenzione incendi (CPI).
Il D.P.R. n. 151/2011 prevede la suddivisione delle attività soggette nelle seguenti categorie:
Categoria A
non è obbligatorio chiedere ai VVF la valutazione del progetto. I sopralluoghi da parte dei VVF sono effettuati a campione.
Categoria B
è obbligatorio chiedere ai VVF la valutazione del progetto. I sopralluoghi da parte dei VVF sono sempre effettuati a campione. Sono attività presenti nella categoria A (dotate di “regola tecnica”) con un maggiore livello di complessità o attività sprovviste di regola tecnica, ma con livello di complessità inferiore rispetto alla categoria C.
Categoria C
è obbligatorio chiedere ai VVF la valutazione del progetto. I sopralluoghi da parte dei VVF sono effettuati obbligatoriamente, al termine dei quali viene rilasciato il Certificato di Prevenzione Incendi. Sono attività con alto livello di complessità.

Quali sono i metodi per valutare il rischio esplosione/Atex?

Titolo XI del D. Lgs. 81/2008 stabilisce quanto necessario per la valutazione.
Il datore di lavoro valuta i rischi specifici derivanti da: atmosfere esplosive, tenendo conto almeno dei seguenti elementi:
a) probabilità e durata della presenza di atmosfere esplosive;
b) probabilità che le fonti di accensione, comprese le scariche elettrostatiche, siano presenti e divengano attive ed efficaci;
c) caratteristiche dell’impianto, sostanze utilizzate, processi e loro possibili interazioni;
d) entità degli effetti prevedibili.
I rischi di esplosione sono valutati complessivamente.
Nella valutazione dei rischi di esplosione vanno presi in considerazione i luoghi che sono o possono essere in collegamento, tramite aperture, con quelli in cui possono formarsi atmosfere esplosive.

Cosa comporta per il datore di lavoro il rischio esplosione/Atex?

Tra le principali misure di prevenzione che il datore di lavoro deve effettuare vi sono:
– Manutenere gli impianti conformemente alle istruzioni del fabbricante e dell’installatore.
– Sostituzione delle sostanze.
– Applicare misure di ventilazione.
– Evitare i depositi di polveri.
– Limitazione delle concentrazioni.
– Inertizzazione: aggiunta di sostanze inerti allo scopo di evitare la formazione di un’atmosfera esplosiva.
– Monitoraggio delle concentrazioni

Biologico

Cosa si intende per agenti biologici?

Agente biologico
Qualsiasi microrganismo anche se geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni.
Microrganismo
Qualsiasi entità microbiologica, cellulare o meno in grado di riprodursi o trasferire materiale genetico.
Coltura cellulare
Il risultato della crescita in vitro di cellule derivate da organismi pluricellulari.

Oltre a virus, batteri, funghi ed endoparassiti si possono considerare agenti biologici anche:
Prodotti dei microrganismi.
Prioni (agenti causali del morbo della “mucca pazza”).Prodotti cellulari di origine vegetale o animale (peli, forfore animali, fibre tessili).
Artropodi (insetti, zecche, acari della polvere, etc.).

Come sono ripartiti gli agenti biologici?

Gli agenti biologici sono ripartiti in quattro gruppi a seconda del rischio di infezione:

a) agente biologico del gruppo 1: un agente che presenta poche probabilità di causare malattie in soggetti umani;
b) agente biologico del gruppo 2: un agente che può causare malattie in soggetti umani e costituire un rischio per i lavoratori; è poco probabile che si propaga nella comunità; sono di norma disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche;
c) agente biologico del gruppo 3: un agente che può causare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori; l’agente biologico può propagarsi nella comunità, ma di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche;
d) agente biologico del gruppo 4: un agente biologico che può provocare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori e può presentare un elevato rischio di propagazione nella comunità; non sono disponibili, di norma, efficaci misure profilattiche o terapeutiche.

Quali sono le lavorazioni che possono comportare un rischio biologico?

Allegato XLIV del D. Lgs. 81/08 elenca alcune attività lavorative che possono comportare la presenza di agenti biologici:
Attività in industrie alimentari
nell’agricoltura.
nelle quali vi è contatto con gli animali e/o con prodotti di origine animale.
nei servizi sanitari, comprese le unità di isolamento e post mortem.
nei laboratori clinici, veterinari e diagnostici, esclusi i laboratori di diagnosi microbiologica.
in impianti di smaltimento rifiuti e di raccolta di rifiuti speciali potenzialmente infetti.
negli impianti per la depurazione delle acque di scarico.

L’esposizione ad agenti biologici fa male?

L’esposizione ad agenti biologici può provocare patologie di natura infettiva, allergica, tossica e cancerogena.

Azione infettiva: Virus (influenzali, parainfluenzali, adenovirus, etc.) e batteri (S. aureus, Legionella spp, etc.).Funghi (Aspergillus fumigatus, etc.).Parassiti (Acantamoeba, Naegleria fowleri, etc.).
Azione allergica:
Batteri (Actinomyces, etc.).Funghi (Aspergillus spp, Penicillium spp, etc.).Artropodi (Dermatophagoides farinae, D. pteronyssinus, etc.).
Azione tossica e cancerogena:
Prodotti e derivati dei microrganismi:endotossine, micotossine (Penicillium spp., Aspergillus versicolor, etc.), 1-3 beta glucani (costituenti spore fungine).

Quali sono le modalità di trasmissione degli agenti biologici?

Le modalità di trasmissione sono le seguenti:
– Contatto diretto (con persona malata).
– Contatto indiretto (con oggetti o strumenti contaminati).
– Inalazione di goccioline di grandi dimensioni (droplet): Rosolia, Orecchioni, Influenza, SARS, infezioni da streptococco.
– Inalazione di goccioline di piccole dimensioni (via aerea o tramite droplet nuclei): Morbillo, Varicella.
– Ingestione accidentale.
– Vettori esterni (zanzare, zecche, altri artropodi).
– Via parenterale (puntura d’ago accidentale, taglio).

Cosa comporta il rischio biologico per il datore di lavoro?

Il datore di lavoro in caso di presenza di rischio biologico deve intraprende delle misure di prevenzione e protezione, tra le quali:
Spazi di lavoro sufficientemente ampi.
Superfici lisce, di facile pulizia, impermeabili e resistenti.
Efficace aerazione nei luoghi di lavoro chiusi.
Sistemi di condizionamento sottoposti a regolare manutenzione e pulizia.
Microclima confortevole (T, UR, ricambi d’aria adeguati).
Armadi separati per il vestiario civile e da lavoro.
Docce, se il tipo di attività lo richiede.
Servizi igienici adeguati.
Evitare che il personale mangi, beva e fuma nei luoghi di lavoro.

Quali sono i metodi per valutare il rischio biologico?

Il datore di lavoro nella valutazione deve tenere in considerazione:
a) le fasi del procedimento lavorativo che comportano il rischio di esposizione ad agenti biologici;
b) il numero dei lavoratori esposti;
c) i metodi e le procedure lavorative adottate, nonché le misure preventive e protettive applicate;
d) il programma di emergenza per la protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione ad un agente biologico.

Certificazioni e sistemi di gestione

Che cos’è la certificazione?

La certificazione è l’atto tramite il quale un ente terzo dichiara che, un prodotto, un processo o un servizio è conforme a requisiti specificati dalle norme e normative.

Chi è l’ente certificatore?

L’ente certificatore è il soggetto che verifica e poi certifica la conformità dei sistemi di gestione a specifiche norme di riferimento e che a seguito dell’audit di verifica rilascia il certificato inerente il sistema richiesto.

Perché conviene certificarsi?

Ottenere una certificazione permette di tenere meglio sotto controllo gli eventuali problemi inerenti l’organizzazione, la produzione, etc. e, quindi di ridurre gli eventuali sprechi ed incrementare l’efficienza dei processi (riducendo quindi i costi aziendali).
Può essere utile anche per tenere meglio sotto controllo gli eventuali problemi e rischi inerenti le attività lavorative.
Ad esempio:
Nel caso della ISO 9001 l’organizzazione dimostra la capacità di soddisfare e superare costantemente le aspettative dei clienti, si può quindi essere valorizzati nella contrattazione con clienti potendo garantire un servizio ed un prodotto ottimali. Si possono anche ottenere significativi miglioramenti nell’efficienza organizzativa e nella qualità del prodotto riducendo al minimo sprechi ed errori e aumentando la produttività.
La ISO 45001 può essere utile anche per dimostrare di aver effettuato delle misure aggiuntive per tenere sotto controllo i rischi all’interno della propria attività e può essere utilizzata anche per ottenere degli sgravi sulla liquidazione dell’INAIL tramite la domanda OT23.
Nel caso della ISO 14001 per dimostrare l’impegno al miglioramento continuo delle proprie prestazioni ambientali e, più in generale, la propria attenzione a politiche di sostenibilità ambientale. Con questa certificazione si può essere valorizzati in occasione di partecipazione a gare d’appalto o nella contrattazione con clienti.
Nel modello 231 l’organizzazione può essere esonerata dalla responsabilità amministrativa.
La ISO 50001 può comportare vantaggi misurabili in termini di costi e consente di raggiungere una maggiore trasparenza nella gestione energetica e promuove le migliori pratiche nella gestione energetica.
Nel caso della ISO 22000 può comportare vantaggi nel metodo di analisi e gestione dei pericoli nel sistema gestionale e garantire una corretta applicazione dei regolamenti.
La EN 1090 può comportare vantaggi garantendo di poter marcare CE i propri prodotti strutturali in acciaio e alluminio e di conseguenza poterli vendere all’interno della comunità europea e italia.
La ISO 3834 può comportare vantaggi per la corretta gestione del processo di saldatura e garantire al cliente una garanzia di saldatura di qualità.
Nel caso della ISO 13009 può comportare vantaggi nella prestazione del servizio turistico e soddisfazione del cliente, rispetto della conformità normativa e miglioramento continuo, anche in vista dell’applicazione della Direttiva Bolkestein.

Cos’è la ISO 9001 e cosa riguarda?

La ISO 9001 è la normativa di riferimento per chi vuole sottoporre a controllo qualità il proprio processo produttivo in modo ciclico, partendo dalla definizione dei requisiti, espressi e non, dei clienti e arrivando fino al monitoraggio di tutto il percorso/processo produttivo.
Il cliente e la sua soddisfazione sono al centro della ISO 9001; ogni attività, applicazione e monitoraggio delle attività/processi è infatti volta a determinare il massimo soddisfacimento dell’utilizzatore finale.
Le fasi di applicazione della norma partono dalla definizione delle procedure e registrazioni per ogni singolo processo o macro processo identificato all’interno dell’organizzazione aziendale.

Cos’è la ISO 45001 e cosa riguarda?

La norma ISO 45001 rappresenta l’evoluzione di norme dedicate alla salute e sicurezza, in particolar modo lo standard OHSAS 18001.La norma BS OHSAS 18001:1999 è stata emanata dal BSI nel 1999, rivista nel 2007.
La certificazione OHSAS attesta l’applicazione volontaria, all’interno di un’organizzazione, di un sistema che permette di garantire un adeguato controllo riguardo alla sicurezza e la salute dei lavoratori, oltre al rispetto delle norme cogenti.
È applicabile a tutte le organizzazioni che vogliano formalizzare un sistema di gestione che abbia la finalità di eliminare o ridurre i rischi a cui i lavoratori sono esposti nello svolgimento delle proprie attività.

Cos’è la ISO 14001 e cosa riguarda?

Lo standard ISO 14001 (in Italia UNI EN ISO 14001:2015) è uno standard certificabile. Certificarsi secondo la ISO 14001 è frutto della scelta volontaria dell’azienda che decide di attuare un proprio sistema di gestione ambientale.
È inoltre importante notare come la certificazione ISO 14001 non attesti una particolare prestazione ambientale, né tanto meno dimostri un particolarmente basso impatto, ma piuttosto stia a dimostrare che l’organizzazione certificata ha un sistema di gestione adeguato a tenere sotto controllo gli impatti ambientali delle proprie attività, e ne ricerchi sistematicamente il miglioramento in modo coerente, efficace e soprattutto sostenibile.

Cos’è il modello 231 e cosa riguarda?

Il D.Lgs. 231/01 istituisce la responsabilità amministrativa dell’Organizzazione per reati posti in essere da Amministratori, Dirigenti e/o Dipendenti, nell’interesse o a vantaggio dell’Organizzazione.
Il Decreto coinvolge tutte le Società di capitali e di persone, le Associazioni anche prive di personalità giuridica e gli Enti pubblici economici. Non rientrano nell’ambito di applicazione lo Stato, gli Enti pubblici territoriali, gli Enti pubblici non economici, gli Enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.
L’Organizzazione può essere esonerata dalla responsabilità amministrativa, qualora riesca a dimostrare di aver adottato ed attuato un modello organizzativo idoneo a prevenire un reato.

Cos’è la ISO 50001 e cosa riguarda?

La ISO 50001 è lo standard di riferimento per i sistemi di gestione dell’energia; è uno strumento utile per ottimizzare sistematicamente le prestazioni energetiche e promuovere una gestione energetica più efficiente.

Cos’è la ISO 22000 e cosa riguarda?

Lo standard ISO 22000 “Food safety management systems- Requirements” è lo standard internazionale volontario per la certificazione di Sistemi di Gestione della Sicurezza Alimentare (SGSA). La norma tecnica è uno standard globale, pubblico, di sistema.
In particolare merita rilevare che con la recente coerente specifica tecnica ISO/TS 22002-4, costituisce il corpo di norme specificatamente dedicate alla predisposizione e certificazione di sistemi di gestione della sicurezza alimentare nel settore dei materiali a contatto con alimenti/food packaging.

Cos’è la EN 1090 e cosa riguarda?

La certificazione UNI EN 1090 è una certificazione obbligatoria per tutti i produttori di componenti strutturali in acciaio e alluminio, nonché per produttori di kit immessi sul mercato come prodotto da costruzione. Questo tipo di certificazione è riconosciuta a livello internazionale. Viene certificata la capacità di una azienda a produrre materiale che risponde a tutte le caratteristiche qualitative richieste dalle norme UNI EN 1090.

Cos’è la ISO 3834 e cosa riguarda?

La Iso 3834 riguarda i Sistemi di Gestione per la Qualità come “processo speciale”. La norma è una guida che stabilisce i “Requisiti di qualità” per la corretta gestione del processo di saldatura e definisce i criteri/requisiti di qualità per la saldatura di materiali metallici definendo 3 livelli di qualità.

Cos’è la ISO 13009 e cosa riguarda?

La Iso 13009 dimostra una gestione sostenibile delle spiagge e il rispetto dei requisiti di qualità del servizio e delle strutture. La certificazione si applica a tutte quelle organizzazioni pubbliche o private che forniscono un servizio connesso alle spiagge.

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